Wednesday, September 22, 2010

Information Literacy


Sto concludendo in Brasile, alla Universidade Federal de Santa Catarina, a Florianopolis, il mio corso su Metodi di ricerca, media e educazione. La lezione di ieri era dedicata alla Information Literacy. Mi fa piacere condividerne le linee essenziali.

1. Una definizione
Si può definire la Information Literacy come un insieme di competenze che, nella società dell'informazione, indicano la possibilità da parte del soggetto di cercare, selezionare e certificare le informazioni reperite in rete.
Alcune sottolineature si impongono:
- questa competenza diviene necessaria in una società in cui le informazioni sono sempre più abbondanti e il sapere diviene intotalizzabile (secondo la celebre metafora del "secondo diluvio universale" proposta da Pierre Levy);
- è parte integrante del campo di esperienza della Media Literacy, soprattutto in relazione alla capacità critica dei soggetti di valutare le fonti delle informazioni trovate;
- va inclusa a tutti gli effetti tra le competenze del ricercatore, per il quale oggi internet rappresenta un'ampia e abituale forma di attività;
- quando parliamo di informazione, occorre che distinguiamo il termine da quelli di conoscenza e sapere. Sinteticamente: l'informazione è il dato; quando formuliamo un giudizio (ovvero organizziamo in termini proposizionali i dati) costruiamo conoscenza; il risultato dell'appropriazione di queste conoscenze è ciò che chiamiamo sapere.

2. Strategie di ricerca in rete
Quando si parla di ricercare informazioni in rete occorre subito distinguere due grandi modelli, che corrispondono ad altrettanti paradigmi della Information Literacy. Il primo è quello che fa centro sul contenuto (Content centered): convinti dell'importanza dei contenuti nella ricerca, i fautori di questo modello hanno come loro capostipite Google. L'altro modello è quello che fa centro sulle persone (User centered): in questo caso la base della ricerca sono le conoscenze dei soggetti, come l'esperienza di Facebook insegna..

Per quanto riguarda il primo modello, quello centrato sui contenuti, al di là delle tante teorizzazioni mi sembra siano sostanzialmente tre le strategie che lo caratterizzano.
a) Starting point
Si parte da una parola di ricerca. Si apre un motore (o Wikipedia, o qualsiasi altro punto abituale di accesso alla rete). Si individuano le risposte più interessanti restituite dal motore. Si seguono i link che vi si possono trovare.
Caratteristiche: razionale, deduttivo, prevedibile.
b) Walking around
Si "spazzolano" i siti della rete senza una precisa intenzione di ricerca. Si genera una biblioteca dei propri preferiti. La si alimenta costantemente creando il presupposto per attivare facilmente la ricerca nel caso serva.
Caratteristiche: serendip, anarchico, dispendioso.
c) Indexing
Si parte per la ricerca da repertori on line, indici di risorse telematiche, banche dati (nel caso della ricerca è il caso di SCIELO, di Google Scholar, ecc.).

Ciascuna di queste strategie, assolutizzate, non pagano. Probabilmente un primo accorgimento potrebbe essere quello di incrociarle per minimizzare i loro limiti e massimizzarne i vantaggi.
Al di là di questo si possono fare proprie alcune indicazioni operative che servono a rendere più efficace e valida la ricerca. Ne individuo tre.
Usare "motori" differenti. Si può:
- partire nella ricerca da metamotori, come Copernic (la versione base, in download, è free);
- servirisi di motori diversi per approfittare delle specificità di funzionamento dei loro diversi algoritmi (Google non è l'unico motore disponibile, ce ne sono a decine, a partire da Altavista o da Bing, il motore di Microsoft, che ha caratteristiche tecniche completamente diverse già orientate nella direzione della ricerca semantica);
- fare ricorso a indici telematici (come Yahoo, ad esempio).
Usare parole di ricerca diverse. E' il caso della ricerca avanzata, che può stressare gli operatori booleani, piuttosto che altri sistemi per mirare maggiormente la ricerca.
Usare lingue diverse. Normalmente le parole di ricerca sono inserite nella propria lingua materna: questo preclude la possibilità di trovare risorse disponibili in altre lingue.

3. L'utente è il vero valore
Il paradigma che fa centro sulla persona, sull'utente, per cercare informazioni in modo efficace, prevede due strategie possibili di azione.
a) Head hunting
Andare a "caccia di teste" in rete significa cercare persone (non contenuti) che possano essere in possesso delle informazioni che ci servono o indicarci dove e come procurarcele. Due sono le modalità di operare in questa direzione:
- postare una domanda di ricerca in un newsgroup (strategia classica, da sempre frequentata soprattutto dagli sviluppatori di software - Linux è nato e cresciuto così);
- usare Facebook Search per cercare tra tutti coloro che hanno un profilo in Facebook quelli che tra le informazioni del profilo stesso, le loro note, i contenuti condivisi, possono presentare qualcosa che abbia relazione con la nostra domanda di ricerca.
b) Social networking
E' l'altra grande strategia che consiste nell'approfittare dei pareri, delle indicazioni o dei punti di vista che vengono condivisi in rete da utenti esperti. Alcune modalità di operare in questa direzione sono:
- partire nella ricerca da un blog tematico (spesso funzionano da veri e propri miniportali);
- partire da un archivio open access (come a loro modo sono Slideshare per le presentazioni di Powerpoint o Scribd per paper e articoli);
- partire dai repertori di preferiti condivisi in rete (come avviene in Delicious);
- seguire alcuni opinion leader in Twitter.

Tenere presenti questi aspetti, costruire dei mix personalizzati di strategie e strumenti, sono competenze centrali che la Information Literacy mira a far acquisire. Certo, una volta risolto il problema della competenza di cercare in rete in maniera efficace restano da risolvere le altre due questioni: come selezionare le informazioni così reperite, soprattutto come certificarne l'autorevolezza. C'è spazio per altri post.

Per approfondire:
- The Information Literacy Website
- The Information Literacy Weblog

Wednesday, September 8, 2010

L'educazione di fronte alla sfida dei media

Il 9 e 10 settembre si è svolto a Brescia il raduno abituale di Scholé, convegno in cui i pedagogisti di area cattolica si incontrano per riflettere su temi rilevanti della ricerca educativa. Quest'anno il focus era il rapporto tra la scuola e le diverse formazioni sociali. Tra queste formazione uno spazio rilevante lo occupano i media che sono stati oggetto della sessione dei lavori della seconda giornata. Faccio sintesi di seguito del mio intervento (che in questi giorni è diventato anche la lezione inaugurale del corso sui Metodi di ricerca in educazione mediale che sto tenendo presso l'Università federale di Santa Catarina, nel Sud del Brasile), nel quale ho adottato come criterio organizzatore lo schema con cui l’équipe di Stanford (Ito et alii, 2010) ha deciso di mettere ordine nel suo rapporto di ricerca sul significato dei nuovi media per le giovani generazioni. Ciascuno dei quattro descrittori (participation, publics, learning, literacy), infatti, ci consente di pensare a un aspetto della sfida che i media lanciano all’educazione.

1. Participation

I media stanno modificando completamente il significato e le forme della partecipazione. La comunicazione esplode, si dilata temporalmente oltre il momento dell’interazione face to face. Ne sono complici la diffusione del telefono cellulare (che decreta la reperibilità perenne di chi ne fa uso) e la pervasività dell’instant messaging (Google Talk, MSN, Skype). La socialità si intensifica, moltiplica i suoi sforzi di attivazione, inserisce i soggetti al centro di reti che li pluricollocano. Il social network, i blog, le mille aggregazioni possibili nel web facilitano questo processo. Le opportunità di questo scenario sono evidenti: i legami si possono consolidare; si aprono spazi per la relazionalità dialogica; la consapevolezza dell’altro si allarga oltre i limiti dell’appartenenza geografica e dell’informazione ufficiale. Ma sono chiare anche le criticità che spingono a pensare in termini educativi: la partecipazione “a bassa definizione” che si accontenta di scrivere (su un forum, su un blog) per esternare il dissenso o di pagare (come nel caso di Telethon) per vivere la solidarietà; la logica delle “fedeltà parallele” (Bauman, 2010) che può celare la mancanza di impegno e consentire al soggetto di non giocarsi mai fino in fondo nelle situazioni.

2. Publics

Publics è al plurale, perché si intende fare riferimento ad almeno due idee del pubblico che il consumo di nuovi media sta trasformando in profondità. In primo luogo è lo spazio pubblico, ovvero il luogo in cui dall’Illuminismo in poi è possibile al soggetto formulare il proprio parere per sottoporlo al confronto. Le regole di accesso a questo spazio sono completamente saltate erodendone i contorni fino quasi a dissolverli. In secondo luogo è il pubblico inteso come target, come destinatario del messaggio. Anche qui l’autorialità dei media ne sta cambiando i contorni che prima lo distinguevano nettamente dall’emittente. Ogni ogni lettore è anche autore ed editore (almeno potenzialmente): basta possedere un blog, avere un account in You-tube. Anche in questo caso sono chiare le opportunità: si apre e si estende la possibilità di accesso all’informazione; sembrano crearsi le condizioni per un nuovo pluralismo, al di là delle fonti di informazione ufficiali; il lettore-autore è più attivo, più protagonista, e questo è funzionale a un incremento del suo livello di consapevolezza e di partecipazione. Per converso sono evidenti le criticità: si modifica fino quasi a scomparire il senso del privato e di cosa esso comporta; il venire meno delle mediazioni aumenta la possibilità delle trasgressioni, delle violazioni della norma; il facile protagonismo del singolo utente contribuisce alla liquidazione dell’autorità.

3. Learning/Literacy

I media modificano in profondità anche le modalità attraverso le quali i soggetti apprendono (learning) e, di conseguenza, anche quelle attraverso le quali i sistemi formativi cercano di provvederli con competenze adeguate (literacy). Il punto di partenza, in questo caso, è già quello di una distanza tradizionale tra il costrutto “scuola” e il costrutto “media”. Géneviéve Jacquinot (2000) lo ha efficacemente rappresentato parlando di un giansenismo della scuola contrapposto all’edonismo dei media. La scuola è giansenista perché: l’acquisizione del dato culturale costa fatica; è il luogo dell’impegno; i risultati arrivano solo con il tempo, dopo una lunga applicazione. I media sono invece edonisti perché: il consumo è leggero e non costa fatica; sono il luogo dell’evasione; tutto si consuma nell’immediato ed è effimero. I nuovi media aggiungono a questa dialettica un ulteriore elemento di analisi che è costituito dal progressivo allontanamento delle pratiche con cui i giovani apprendono e costruiscono significati nell’informale e quelle invece che sono invitati a sviluppare nei contesti formali. Qui risiede il problema della definizione di una Literacy adeguata. Essa deve: farsi carico del problema degli apprendimenti, ma anche degli altri (Partecipazione e pubblici sono parte integrante di una moderna educazione alla/della cittadinanza); sviluppare competenze in un contesto in cui non sono solo i media a suggerire nuove sfide e le necessità di nuove soluzioni (Multiliteracy).

Riferimenti bibliografici

Bauman, S. (2010). L’etica in un mondo di consumatori. Bari-Roma: Laterza.

Ito, M. (2010). Hanging out, Messing around, and Geeking out. Kids Living and Learning with New Media. Cambridge (Ma.): MIT Press.

Jacquinot, G. (2000). Educazione e comunicazione: lo choc delle culture. In D. Salzano (ed.), Comunicazione ed educazione. Incontro di due culture. Napoli: Isola dei ragazzi, pp. 117-129.