Saturday, April 30, 2011

Nativi... migranti: come colmare il gap per comunicare meglio

Il 28 aprile scorso sono stato impegnato a Genova in una giornata di formazione con gli operatori delle ASL liguri che inaugurava un ciclo di incontri sulla Media Education come strumento di prevenzione nel lavoro con gli adolescenti. Il titolo che mi è stato assegnato chiedeva di problematizzare il rapporto tra generazioni riguardo all'uso dei media e di indicare strategie operative per superare il gap a questo riguardo. Ho organizzato il mio intervento in tre momenti:
- un'attività di innesco;
- una definizione dei termini e dei problemi in gioco;
- l'indicazione di alcune proposte operative.

1. Giochiamo con gli SMS...
Ho iniziato col verificare che tutti avessero il cellulare... acceso. Poi ho chiesto di comporre un SMS nel quale spiegare a chi non ne sapesse nulla chi/cosa è un nativo digitale. Mentre tutti tenevano il loro SMS composto sullo schermo del loro telefonino ho avviato un brain storming sulle difficoltà incontrate per redigere il testo. Le risposte, in ordine sparso, hanno constatato che:
- occorre una manualità allenata;
- è difficile digitare velocemente;
- occorre conoscere la sintassi degli SMS (ad esempio per ricorrere a smileys e abbreviazioni);
- si deve sintetizzare in poche battute un concetto complesso e articolato;
- bisogna tenere presente il target cui ci si sta rivolgendo.
L'analisi di queste osservazioni ci ha condotto a una prima conclusione provvisoria: la redazione di un SMS non è un gioco banale,  richiede lo sviluppo di skills e competenze.
Per skill intendo un'abilità procedurale, la destrezza, la capacità d'uso che si acquisisce in forma di habitus (nel senso aristotelico del termine) attraverso l'esercizio, la reiterazione del compito.
La competenza, invece, è un sapere di azione, è la capacità di agire strategicamente orchestrando schemi di azione per risolvere problemi complessi.
Ho chiesto a questo punto di inviarmi gli SMS. Eccone qui di seguito qualcuno (ricordo che la richiesta era di definire il nativo digitale):
- "Chi è cresciuto respirando le nuove tecnologie"
- "Nato con la tast, il pc e amico di google e dei blog"
- "Chi è nato e cresciuto nell'era di internet dal '90 in poi"
- "Persone che sono cresciute masticando pane e tecnologie digitali. Inevitabilmente giovani"
- "Nessun pulsante, nessuno schermo, nessuna tastiera o attrezzo "connesso" mette in crisi un nativo digitale!"
La pubblica lettura di questi SMS (erano molti di più, ho riportato i principali) ha consentito di avviare una discussione sulle rappresentazioni individuali e sociali del nativo digitale. Il risultato è stato l'accordo sul fatto che il nativo abbia dimestichezza con la tecnologia, ma l'apertura di due fronti: quello di coloro che lo ritengono una categoria generazionale (giovane, nato negli anni ''90) e chi invece ritiene di no. Tornerò più avanti sulla questione che ho già peraltro "liquidato" in un altro post di questo blog.

2. Termini e problemi in gioco
La diffusione sociale dei nuovi media genera nuove forme di organizzazione cognitiva che sono legate a nuove modalità di fare esperienza del mondo. Ne individuo tre fornendo di ciascuna una definizione, alcuni esempi, la funzione cognitiva che essa interessa e il tipo di gap che suggerisce.

a) Workflow Learning (WL)
Si tratta letteralmente di un apprendimento che avviene contestualmente allo svolgimento di occupazioni che non hanno nulla a che vedere con l'apprendimento.
Alcuni esempi:
- apprendere le funzioni di un cellulare usandolo;
- sviluppare competenze inferenziali videogiocando;
- raccogliere informazioni sull'attualità facendo zapping in televisione;
- imparare a rendere la propria comunicazione sintetica, significativa e mirata al suo target componendo SMS.
La funzione cognitiva maggiormente sollecitata (modificata?) dal WL è l'attenzione: non viene richiesto che sia focalizzata; si apprende comunque anche se essa è distribuita.
Qui il gap rispetto a logiche di apprendimento più tradizionali si registra esattamente al livello della coppia focalizzato/distribuito: in contesto formale l'apprendimento è sempre intenzionale e presuppone l'attenzione esclusiva di chi apprende.

b) User Generated Context
Si tratta di una forma particolare di protagonismo dell'utente che consiste nella capacità di generare contesti cognitivi personali all'interno dei quali collocare le informazioni e le esperienze che ci appartengono per assegnare ad esse significato.
Alcuni esempi:
- ricorrere ad aggregatori di risorse Web per disporre di una mappa sintetica delle proprie forme di presenza on line;
- utilizzare gli RSS feed per rimanere aggiornati sui temi di proprio interesse;
- organizzare le proprie informazioni in forma di repertori di link (come in Delicious);
- usare tecniche di ritaglio, riporto, citazione per appropriarsi di idee e contenuti che ci sentiamo di condividere.
La funzione cognitiva in questo caso sollecitata è la memoria: quella a breve termine viene sollecitata al momento della navigazione/selezione delle risorse da contestualizzare, quella a lungo termine viene chiamata a fissare più che i contenuti, i contesti e i percorsi che servono al recupero efficace dei dati.
Il gap rispetto alle logiche di apprendimento tradizionale è legato a un uso diverso della memoria a lungo termine: dalla memoria-magazzino alla memoria-indice.

c) Friends Storing
Si tratta della capacità di allestire e mantenere reti sociali all'interno delle quali reperire risorse e informazioni e attraverso le quali esercitare l'intelligenza collettiva e la partecipazione.
Alcuni esempi:
- organizzare la lista dei propri amici nel social network;
- creare e mantenere gruppi in Facebook;
- partecipare a newsgroup e liste di discussione;
- utilizzare servizi di condivisione e conversazione come Google Buzz e Twitter.
In questo caso quel che viene sollecitato è l'intelligenza sociale e connettiva: la capacità di entrare in relazione con altri soggetti, di entrare in logiche di tipo collaborativo, di sviluppare forme di partecipazione.
Il gap in questo caso è legato al tipo differente di cultura che si costruisce insieme alle sue logiche. Le culture di questo tipo sono culture partecipative (Jenkins) basate sulla condivisione di spazi di affinità (Gee) e caratterizzate da alcuni elementi distintivi:
- forte senso di appartenenza, percezione di importanza rispetto al legame sociale;
- forme di tutoraggio peer-to-peer;
- spinta alla condivisione e alla creazione di materiali;
- barriere abbastanza basse rispetto a impegno civico ed espressione creativa.
Si tratta di aspetti che normalmente non appartengono ai contesti tradizionali, tendenzialmente individuali e non partecipativi.

In tutti questi casi il gap è generazionale? E' un problema di anagrafica? O di competenze sviluppate con l'uso?

3. Colmare il gap
Cominciano a individuare livelli diversi ai quali il gap si può registrare.
Vi è anzitutto un participation gap: è il problema dell'accesso diseguale, che comporta di negare a chi non ha accesso la possibilità di usufruire delle opportunità dei media digitali, a chi ha già delle competenze di non poterle utilizzare.
A un livello più alto è il language gap: si può avere accesso dal punto di vista tecnico ma non possedere gli alfabeti. Le competenze informatiche di base sono una competenza-chiave di cittadinanza nella società odierna.
Il linguaggio, il controllo tecnico del mezzo e dei suoi alfabeti non è tutto. Vi sono conoscenze relative al mondo della comunicazione digitale che non si possono ridurre alla padronanza del mezzo (knowledge gap).
Infine, occorre comprendere che i media sono sistemi culturali che modellano le rappresentazioni e i valori e costituiscono spazi di organizzazione dei significati e delle pratiche attraverso cui produrli (culture gap).
Metodologicamente, questi gap si possono colmare a due livelli:
- individuale, attraverso lo sforzo di conoscere, sperimentare, usare, acquisire competenze;
- operativo, immaginando modalità che consentano all'operatore di usare nell'intervento gli stessi strumenti, gli stessi linguaggi, le stesse logiche che animano le attività individuali e sociali con i media nel tempo e negli spazi dell'informale.

Riferimenti bibliografici:
H. Jenkins (2010). Culture partecipative e competenze digitali. Milano: Guerini & Associati
P.C.Rivoltella, S. Ferrari (eds.)(2010). A scuola con i media digitali. Milano: Vita e Pensiero.

Per approfondire la questione dei nativi digitali:
http://www.giannimarconato.it/2010/01/come-apprende-un-nativo-digitale-una-testimonianza/

Tuesday, April 19, 2011

Amici reali e virtuali

Il 2 aprile scorso sono intervenuto ad Arese, vicino a Milano, nell'ambito di un ciclo di incontri per genitori organizzato dall'amministrazione comunale in collaborazione con il COSPES locale. Il tema - Amici reali e virtuali - mi ha consentito di articolare un intervento scandito in una premessa e tre passaggi che restituisco di seguito.
La premessa è costituita dal "peso" che la discorsivizzazione sociale su questo tema è andata e va tuttora assumendo attraverso la stampa, la televisione, gli incontri come quello in oggetto. Questa discorsivizzazione è il luogo della contrapposizione di due grandi racconti.
Il primo è un racconto di emancipazione. Esso è alimentato dall'utopia tecnofila che lega alla tecnologia una serie di valori: l'emancipazione dal luogo (poter comunicare da qualsiasi posto, essere sempre connessi), l'emancipazione dal corpo (fare a meno di essere presenti), l'ampliamento delle possibilità umane.
L'altro è invece un racconto di conservazione. Lo alimenta la distopia tecnofoba che lega alla tecnologia la perdita del valore. Questo discorso produce la convinzione che i ragazzi di oggi siano diversi da quelli di ieri, che i nuovi media siano una moda e non vera cultura, che siano superficie laddove invece occorrerebbe la profondità (si veda come esempio di questa distopia l'ultimo libro di Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo).
Sono convinto che occorra andare oltre. Si tratta di lasciar perdere i discorsi e confrontarsi con serietà sulle pratiche.
Ed ecco i tre passaggi che scandiscono la mia analisi.

1. Amici reali, amici virtuali
Partiamo dagli amici. In Facebook ne ho 1339, la "legge dei 150" dice che tanti se ne possono annoverare in una vita intera, le analisi di Cameron Marlowe, sociologo in-house di Facebook, dice che nel social network ne abbiamo in media 120 ma che solo 4 o 5 di questi sono maintained. Si tratta di un primo spunto di riflessione: quando si parla di amici si tratta di intendersi sui termini.
Quanto al fatto, poi, che siano virtuali sembra ormai necessaria una decisa riconcettualizzazione del termine. Occorre passare dalla contrapposizione (real life vs artifical life) alla continuità: la rete costituisce solo uno dei tanti scenari di azione che costellano la nostra vita di relazione. Non c'è ragione di credere che sia meno "reale" o significativo di altri.

2. Fenomenologia della comunicazione mediata
Telefono cellulare e social media concorrono a modificare le logiche secondo le quali i ragazzi (ma anche noi) costruiscono la loro identità, le loro relazioni, ripensano la loro partecipazione.
La costruzione identitaria passa oggi in larga parte dalla mediazione dei media. Come altre volte ho ricordato, l'estroflessione e la fuga dal privato rappresentano due indicatori importanti di questo fenomeno: si passa dal diario custodito nel cassetto della scrivania al wall di Facebook. L'Identity Performance subentra alla Identity Erasure: non si gioca più a nascondersi o a simulare di essere altri da sé, ma si è pienamente se stessi, nel modo più pubblico che si possa immaginare.
Per quanto riguarda la relazione va notato come la comunicazione mediata non le sottragga tempo, ma di fatto la prolunghi: è questa la funzione di Messenger o di Facebook per gli adolescenti, ovvero di tenerli in contatto anche quando non possono più stare insieme fisicamente. Ma c'è di più. La relazione mediata sta producendo un ritorno dei legami: gli adolescenti tengono a far sapere di essere "fidanzati con", si fotografano con il loro lui/lei, rendono pubblica e ufficiale la loro relazione. D'altra parte, il telefono cellulare sta diventando uno strumento importantissimo di parenting: un guinzaglio sul cui filo si gioca la dialettica tra libnertà e controllo tra genitori e figli.
Un cenno merita infine la partecipazione. Il social network riporta in primo piano la razionalità dialogica per la soluzione dei conflitti e allo stesso tempo propone nuove forme di appartenenza: è il caso dei gruppi di Facebook, esperienze localizzanti più che globalizzanti. Ma allo stesso tempo occorre riflettere su come, questa volta in senso globalizzante, la rete estenda la percezione dell'altro oltre i limiti del locale. Una dialettica interessante su cui merita riflettere.

3. Per l'intervento educativo
Sul piano educativo, a margine di questi rilievi, ci si può muovere a due livelli.ù
In primo luogo occorre registrare delle oscillazioni che possono sfociare in criticità:
- nel caso del'identità, la fine della mediazione e la crisi dell'autorità;
- nel caso della relazione, la fuga dal silenzio e la saturazione sociale;
- nel caso della partecipazione, la costruzione di legami a bassa definizione o improntati alla logica dele fedeltà parallele.
Il secondo tipo di rilievo riguarda le strategie di intervento. Le domande dei genitori e degli educatori sono chiare: qual è l'età giusta per il primo cellulare? E quali competenze servono? Come si possono formare gli adulti? I filtri servono ?
In ordine sparso si possono annotare alcune indicazioni:
- educare non proteggere;
- inserire sempre la norma (le regole) all'interno della relazione;
- non prestare attenzione solo al tempo passato dai ragazzi con i media, ma anche ai contenuti, al tipo di attività che essi svolgono con essi.