Sunday, October 21, 2012

Scurati e la comunicazione educativa



Venerdì 19 ottobre si è svolto a Milano, in Università Cattolica, il Convegno in memoria di Cesare Scurati. Sono stato chiamato a portare il mio contributo sulla sua riflessione in tema di comunicazione educativa. Di seguito la traccia di quanto ho detto nel mio intervento.

Organizzo il mio breve intervento attorno a due premesse e tre rapidi punti. Chiedo scusa già fin da ora di non poterli argomentare dato il poco tempo a disposizione.

Premessa 1 - Io e Cesare
Quindici anni di collaborazione stretta con Cesare, dal 1994 al 2008. Prima, dal 94, nel CdL in Scienze delEducazione di cui era Presidente, poi nellattività del MED e in parallelo con il Corso di Perfezionamento in Media Education che, dal 1998 al 2007, per dieci edizioni, abbiamo tenuto presso lUniversità Cattolica di Milano, infine, dal 1999, per otto anni, presso il CEPaD, di cui lui fu ideatore e direttore e io coordinatore.
In tutti questi anni la sua attenzione per la comunicazione educativa fu più indiziaria che sistematica, periferica più che centrale. Cesare amava dire riguardo a questo tema: Dico quel che penso, non quel che so (perché non so). Di fatto sapeva, soprattutto intuiva che lo snodo della comunicazione sarebbe diventato un importante spazio di riflessione per la pedagogia e di intervento per la ricerca educativa.

Premessa 2 - La scrittura ricorsiva di Cesare Scurati.
Lidea nasceva nei contesti informali. Si alimentava delle sue letture e si trasformava in recensione. Dalla recensione passava negli editoriali delle sue riviste, nelle prefazioni ai volumi che gli venivano chieste, nelle relazioni ai convegni. Da qui, infine, si distillava e veniva ricomposta secondo un disegno coerente e compiuto nelle monografie.
Il risultato, per chi si confronta con la riflessione di Scurati, è di inseguirla nel tempo, accompagnarla nelle sue giravolte, decifrare il respiro che la porta a definizione. Ma chi ha avuto la fortuna di vivere i momenti in cui l'idea nasceva - nella chiacchierata informale, nella lezione a braccio in un corso di aggiornamento, nel momento della sintesi con cui amava chiudere le sessioni di convegno  - gode di un sicuro vantaggio posizionale.

Primo punto - Il posizionamento
Scurati ha dichiarato più volte che il suo approccio al tema della medialità e della comunicazione (ma direi più in generale al tema dell'educazione, soprattutto in scuola)    era improntato a "una pedagogia tradizionale, di tipo personalistico-professionale".
Tradizionale: costruita sull'autorità del maestro, sulla sua asimmetria, che non significa però riproduzione, bensì apertura a quella che si può definire "abilitatività democratica", Come amava ripetere Cesare: "Si educa nella differenza per garantire la parità".
Personalistica: il personalismo pedagogico era un'impronta che (pur nei distinguo raffinati posti da Giorgio Chiosso nel suo intervento) Cesare doveva naturalmente ad Agazzi, alla "scuola" della Cattolica di cui fu esponente brillante, ma anche allo scoutismo, all'educazione sportiva che fu sempre una delle sue attenzioni, alla "matrice" salesiana assorbita sui campi dell'oratorio di Via Copernico.
Professionale: più volte Cesare è tornato, occupandosi di scuola, di dirigenza, di formazione degli insegnanti, sulla questione se l'educazione sia questione di vocazione o di professione. La sua indicazione chiara fu sempre per la professione: non entusiasmi, ma metodi, tecniche, saperi consapevoli.

Secondo punto - Le categorie: tra ipocomunicazione e ipercomunicazione.
Ipocomunicazione: "isolamento, restrizione dell'oralità alla presenza, accesso elitario al l'istruzione". È ipocomunicativa la scuola tradizionale, quella della lezione frontale e delle riserve nei confronti dei media.
Ipercomunicazione: "trasmissione a distanza, scritturalità, medialità diffusa, scolarizzazione di massa". È ipercomunicativa la scuola del fare, quella della didattica esperienziale e del ricorso massiccio ai media.
 È la dialettica attuale, quella estremizzata dai discorsi pro e contro la scuola digitale.
Se prevale l'ipocomunicazione, se prevalgono le riserve della tradizione contro l'innovazione, allora si dà forma a una scuola in cui c'è carenza di comunicazione. E qui occorre ricordare che "la comunicazione è, in questo senso, uno dei volti della generazione e costituisce, al tempo stesso, la prima garanzia di un valido ingresso nell'umanità".
Se prevale l'ipercomunicazione, se prevalgono gli entusiasmi innovatori, iconoclasti nei confronti della tradizione, "si è in presenza di una condizione tale da provocare il timore di un'invasione e intrusione dello spirito individuale e la preoccupazione per l'evasione dall'intimità e dall'autonomia dell'Io".

Terzo punto - La proposta: scenari e attenzioni
Ecco allora la necessità di una composizione delle due istanze.
La proposta consta di due indicazioni:
- la ridefinizione delle due condizioni (ipo e iper) come scenari coerenti di un agire media-educativo unitario;
- l'attenzione necessaria a tre coppie problematiche che per Scurati coincidono con quelli che lui chiama "i descrittori della forma-scuola".
 Nello scenario ipo fare medieducazione significa dare strumenti
Nello scenario iper significa fornire mappe
Al primo livello si colloca lalfabetizzazione primaria (tecnologie): l'e-learning diceva Cesare, i media digitali diremmo noi oggi
Al secondo livello la alfabetizzazione secondaria (testi): la media education
Coppie problematiche:
-       opacità/trasparenza: educazione alla parola
-       contenuto/relazione: educazione logico-artistica
-       rumore/silenzio: educazione sanitaria
In questo è già chiaro che per Scurati lo spazio dei media nella scuola non poteva essere disciplinare ma trasversale. Ce lo ripeteva ancora negli anni '90 quando noi propendevamo a credere che la Media Education potesse "entrare nel curricolo" come disciplina. Aveva ragione lui.

Friday, October 12, 2012

Ciao, don Roberto!

"Sarà la tua Bibbia!". Disse così Sister Elizabeth Thoman a Don Roberto. Erano i primi anni '90. Lei una leader del movimento americano della Media Education. Don Roberto, già rettore dell'Università Pontificia Salesiana, stava muovendo i primi passi come nuovo direttore dell'ISCOS, il neonato Istituto di Scienze della Comunicazione Sociale che lui stesso aveva voluto alla "Salesiana". Negli USA Roberto cercava un orientamento originale, qualcosa che potesse garantire al nuovo Istituto di collocarsi con una sua specificità nel panorama italiano degli studi di comunicazione. La Media Education - lo raccontava sempre - fu una folgorazione: la "Bibbia" in questione era un libro della Thoman - che negli USA chiamano "the goldmother of Media Education". Don Roberto tornò in Italia con le idee chiare al riguardo. Io insegnavo all'ISCOS dal 1989-90: mi avevano voluto lui e don Franco Lever. Ero un giovane di belle speranze, con una laurea in filosofia e una specializzazione in comunicazioni sociali in tasca. All'ISCOS insegnavo, ad anni alterni, Semiotica e Teoria della comunicazione a un'aula multietnica che in quei primi anni esprimeva una qualità enorme: a Roma arrivavano i migliori da molte diocesi del mondo per formarsi e poi tornare a coprire ruoli di responsabilità. Con don Roberto si cominciò a raccogliere un gruppo di insegnanti tutti i mercoledì pomeriggio: seminari di formazione, scuola di metodo. E poi, fin dal 1992, una Summer School sulla Media Education, a Corvara in Val Badia. Roberto importava nel campo della comunicazione quello che aveva imparato in ambito catechetico negli anni '60, interpretando la lezione del Concilio e contribuendo a preparare il documento sul Rinnovamento della Catechesi del 1970: il progetto era di investire con la stessa rivoluzione metodologica anche gli studi mediali e l'insegnamento di scuola. In quegli anni - la metà dei Novanta - educazione e comunicazione, nel nostro Paese, non si parlavano ancora molto. I comunicazionisti snobbavano l'educazione: quando nel 1994 ebbi il mio primo insegnamento a contratto in Cattolica a Scienze della Formazione lo ottenni perché i miei colleghi ritenevano una diminutio insegnare comunicazione lì. I pedagogisti, da parte loro, tranne rare eccezioni (penso alla scuola di Padova, con Luciano Galliani, o a Cesare Scurati) rispetto ai media sviluppavano atteggiamenti difensivi e di sospetto. Uno dei meriti dei primi anni di Corvara fu di raccogliere le esperienze, di far incontrare gli studiosi, di gettare le basi perché anche nel nostro Paese le scienze della edu-comunicazione potessero crescere. Ne nacquero tante iniziative che ricordo ancora con grande emozione: i primi libri per la Elledici (Teleduchiamo, nel '94, Le impronte di Robinson, nel '95), il convegno di Napoli su Educazione e comunicazione: incontro tra due culture, nel 1999, al Suor Orsola, con la regia di Agata Piromallo Gambardella. Nel frattempo arrivò nel 1996 la fondazione del MED, un'associazione che pensammo insieme, insieme anche ad Adriano Zanacchi di cui fu l'idea originaria. Anche in questo caso don Roberto provava a importare in Italia un'esperienza di successo che aveva conosciuto all'estero: la Association for Media Literacy (AML) fondata in Ontario su iniziativa del gesuita John Pungente. John nel 2000 fu l'anima del Congresso di Toronto sulla Media Education: ci andammo insieme, visitando poi sempre insieme Niagara Falls, con una giovanissima Simona Ferrari alla guida della nostra limousine. Come insieme fummo in Cina, nel 2008, al Seminario organizzato dalla Zehiang University. La Cina è stata l'ultima passione di don Roberto. Sulle orme di Matteo Ricci, affascinato dalla cultura millenaria e convinto che l'evangelizzazione di quel subcontinente rappresentasse una scelta decisiva, Roberto si è dato da fare per promuovere scambi di studenti, circolazione di professori, iniziative culturali comuni. Un'altra delle mille cose su cui è stato un apripista. E qui siamo allo specifico dell'uomo don Roberto. Grande cultura, spiccata capacità di relazione e comunicazione, sensibilità squisita, innata predisposizione alla leadership, ma soprattutto "fiuto", o come si dice con termine più elegante: "vision". Don Roberto sapeva cogliere i trend della cultura, aveva la capacità di intuire dove si dovesse andare. Questo il suo pregio indubbio e, forse, anche il suo maggior difetto... perché chi lo amava lo doveva seguire, altrimenti sarebbe partito con altri o al limite da solo, se proprio non si trovava nessuno... Le nostre strade si erano separate da qualche anno, proprio per quel motivo... Ma al di là delle sovrainterpretazioni che probabilmente in molti ne avranno dato, restavano l'affetto e la stima di sempre. Quella stima e quell'affetto mi hanno portato una settimana fa' in ospedale, insieme al caro Don Lever. Ci hanno fermato fuori della rianimazione, non ce lo hanno fatto visitare. Mi resta il rimpianto di non aver forzato la mano, di non aver insistito: ero convinto che lo avrei rivisto fuori di lì e che ce la saremmo raccontata. Mi sbagliavo. Il 9 giugno del 1994 Don Roberto mi scriveva, in un cartoncino infilato nella mia copia di Teleduchiamo appena consegnatagli dalla Elledici: "Pier Cesare, anche questo "figlio" dell'ISCOS è frutto di tanto amore, collaborazione e fatica! Lo dedico a te e ad Alessandra augurandomi che sia il primo di una numerosa e vivace carriera. Con amicizia, Roberto". Amore, collaborazione e fatica: nella vita, come nell'università, mi sembrano tre parole forti, pesanti, ma indubitabilmente vere. Le considero il suo testamento spirituale. Ciao Roberto