Personal Blog of Pier Cesare Rivoltella. A place where it's possible to talk about Media, ICT and Education
Saturday, June 28, 2008
A proposito di e-tutor
Ieri, giornata di chiusura del secondo modulo di Fortutor 2, un corso di formazione per e-tutor della scuola che stiamo gestendo, come Università Cattolica, insieme all'Università di Milano Bicocca e all'Ufficio Scolastico Regionale. Il tema in discussione era la moderazione delle attività on line. In particolare, insieme a Paolo Ferri, eravamo chiamati a commentare il lavoro dei gruppi che avevano prodotto riflessione attorno ai diversi profili (moderatore, organizzatore, leader) emersi durante una simulazione di lavoro on line.
A margine della restituzsione mi sono sentito di annotare tre punti di attenzione che ripropongo come spunti per una discussione più ampia su compito e funzioni dell'e-tutor.
1) Il profilo del moderatore (o dell'organizzatore, o del leader) può essere inteso in quattro modi diversi. Come un ruolo: e allora ci si deve immaginare che all'interno di un gruppo di lavoro on line si debbano provedere diverse figure, ciascuna con la sua specializzazione: chi modera, chi organizza, ecc. Può essere anche inteso come una funzione: in questo caso non è necessario che a ogni profilo corrisponda una figura; è sufficiente che nel gruppo si attivino le funzioni, anche più d'una preso la stessa figura. Ancora, lo si può intendere come uno stile: in questo caso è l'e-tutor, nel suo modo di rapportarsi al gruppo, che può essere moderatore, organizzatore, ecc. Infine, lo si può pensare come una dimensione dello stesso profilo, intendendo che lìe-tutor debba essere tutte quelle cose.
2) Tra i ruoli/funzioni/stili/dimensioni dell'e-tutor uno spazio importante se lo ritaglia la documentazione. Si tratta di un atto complesso riconducibile a quattro verbi:
a) descrivere, cioè osservare quel che accade registrandolo in maniera oggettiva;
b) raccontare, cioè ricostruire gli eventi secondo ilproprio punto di vista soggettivo;
c) fondare, ovvero riportare quanto osservato alla teorizzazione che ne è stata fatta in letteratura;
d) riflettere, e cioè produrre meta-cognizione su quanto vissuto attraverso l'elaborazione di secondo livello.
Quattro sono anche le funzioni che la documentazione svolge in relazione all'e-tutoring:
- serve ad ancorare la comunicazione;
- favoriosce la riduzione dell'entropia e la selezione dell'informazione;
- fornisce strumenti alla valutazione;
- consente di "fermare" la parte mobile dell'e-learning, quel che potremmo chiamare learning-plays (per distinguerli dalla parte invariabile,cioè i learning-objects) e che nella maggior parte dei casi costituiscono la parte più preziosa di un percorso formativo.
3) Terzo rilievo. Cosa succederebbe se invece di moderare forum si moderassero blog? Non è la stessa cosa fare il tutor 1.0 o il tutor 2.0. Credo che dedicherò prestissimo un post all'argomento.
Tuesday, June 17, 2008
Lo sguardo dell'altro
In questi giorni sto riflettendo su un passaggio di un libro di Susan Sontag in cui l'intellettuale americana osserva come nella società attuale «l'altro, anche quando non è un nemico, è considerato soltanto come qualcuno da vedere, e non come qualcuno che (come noi) vede».
Il rilievo è acuto, puntuale. La Sontag lo inserisce all'interno di una riflessione che la occupò per decenni: quella del rapporto tra la fotografia e la guerra. In quest'ottica l'immagine fotografica diviene spazio sia di esaltazione patriottica che di compassione umana: il corpo straziato che giace sotto l'obiettivo può diventare ora cemento per la retorica bellica, ora strumento di condanna per la guerra, per tutte le guerre. In ogni caso, comunque, il dispositivo dello sguardo ci rende spettatori: l'altro non ha diritto a guardare, ma solo a essere guardato.
La considerazione apre ad almeno due ordini di questioni, entrambe strettamente legate con la formazione in quanto di essa c'è di valore, di più legato all'etica (la formazione, in quanto Bildung, costruzione dell'uomo, non può che fare riferimento sempre anche al valore).
Prima questione. La spettacolarizzazione della sofferenza. L'immagine del dolore è qualcosa che nella società dell'informazione diviene merce all'ingrosso: i telegiornali e la carta stampata ne riempiono la nostra giornata. Le giustificazioni solitamente sono due: il diritto ad informare e il supposto valore deterrente di queste immagini. L'implicito è che se veniamo informati dell'enormità del dolore che l'uomo può causare, dovremmo desistere dal causarne a nostra volta. Ma di fatto quel che si genera è qualcosa di diverso. Guardando le sofferenze degli altri, mentre ne proviamo compassione. otteniamo allo stesso tempo di allontarle da noi perché tutto sommato quel che vediamo non sta accadendo a noi. Si tratta di un dispositivo proprio sia della catarsi aristotelica che della teorizzazione del '700 sul sublime: «lo spettatore gode non della sublimità degli oggetti che la sua teoria gli dischiude, - come osserva Blumemberg - ma della consapevolezza di sé di fornte al turbine di atomi di cui consiste tutto ciò che egli osserva - perfino lui stesso». Compassione senza impegno, compassione come strumento di allontanamento, compassione come sedativo dell'emozione.
Seconda questione. Lo stesso dispositivo spettatoriale può essere assunto a criterio di interpretazione di molti fenomeni propri della nostra società. Penso a quelli che il sociologo Marc Augé ha definito non-luoghi e che occupano larga parte del nostro tempo libero: il grande centro commerciale, l'outlet, i parchi a tema. Si tratta di spazi in cui il dispositivo della spettacolarizzazione diviene iperbolico poiché il suo oggetto non è più la realtà ma lo spettacolo. Come nel caso di Disneyland. «Noi vi facciamo l'esperienza di una pura libertà, senza oggetto, senza ragione, senza posta in gioco. Non vi ritroviamo né l'America né la nostra infanzia, ma la gratuità assoluta di un gioco d'immagini in cui ciascuno di coloro che ci sono accanto ma che non rivedremo mai più può mettere quel che vuole. Disneyland è il mondo di oggi, in quello che ha di peggiore e di migliore: l'esperienza del vuoto e della libertà».
[Nell'immagine: "Miliziano lealista nel momento della sua morte, Cerro Muriano, 5 settembre 1936", di Robert Capa].
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Saturday, June 7, 2008
Il futuro dell'e-learning
L'ultimo seminario che come CREMIT abbiamo organizzato insieme agli amici del team TIC dello IUFFP ci ha portato a riflettere su molte interessanti questioni inerenti il rapporto tra TIC e formazione: sistemi di monitoraggio e valutazione dei sistemi e-learning, analisi psicopedagogica dei forum (qui la nostra esperta è Simona Ferrari), strategie e politiche per la riduzione del digital divide.
Non entro nel merito né della ricostruzione del dibattito attivato dalle comunicazioni (troppo ricco e articolato), né della complessità di questioni che esso ha aperto, prima tra tutte la riflessione sul profilo e le competenze dell'e-tutor soprattutto in relazione al suo compito "clinico" nei confronti della comunicazione mediata che nella classe virtuale si produce. Mi limito a riprendere solo uno spunto, fornito alla discussione da Giorgio Comi. Giorgio notava come, nel passaggio dalla comunicazione in presenza alla comunicazione mediata da computer, specificamente nel forum, si registri un passaggio da un modello narrativo a uno classificatorio di discussione: in sostanza, quando discutiamo in presenza, tenderemmo a raccontarci, mentre nell'e-learning la discussione sarebbe molto più finalizzata e richiamata a incasellarsi in una cornice.
Quanto Giorgio osserva è vero. Ma occorre inquadrarlo entro un altro tipo di processo, quello che vede l'ingresso sempre più insistente degli strumenti del Web 2.0 dentro i processi di formazione on line. Questo ingresso, per restare alla coppia narrativo-classificatorio, probabilmente ridefinisce gli equilibri spostando di nuovo l'asse dal classificatorio al narrativo o, quanto meno, favorisce una saldatura di entrambi (come quando utilizziamo un blog per attivare l'aula). Ma la ridefinizione va oltre le modalità della discussione. Mi limito a indicare altre due linee di tendenza interessanti.
La prima riguarda il profilo del formatore. Dopo che l'e-learning ne aveva ridefinito il ruolo in termini distribuiti, nel segno dello staff, il Web 2.0 pare riconsegnare il timone della formazione al formatore "ricucendo" in qualche modo la distinzione di docente e tutor che invece era stata tipica (e lo è ancora in larga parte) dell'e-learning. La seconda tendenza è relativa invece alla piattaforma. Signora incontrastata dell'e-learning, sta vivendo una crisi: ne sono responsabili gli ambienti wiki, ma anche Google Apps Education, di cui sappiamo molte università (come la Arizona State University, ad esempio) già si stanno servendo come piattaforma alternativa a quelle "classiche" dell'e-learning. Si tratta di un processo destinato a cambiare molte cose, nella formazione e nelle organizzazioni. Meno costi, più flessibilità, un'interfaccia più facile, integrazione totale con il Web, niente problemi di amministrazione. Sarebbe bello discuterne...
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Thursday, June 5, 2008
Discernimento strano
Napoli. Stazione Centrale. Un giovane ambulante sale sul treno fermo sul binario. Vende calzini. Poche battute. Sono determinato a non comprare. Mi convince: "Tengo figli, tu mi capisci!". Se ne va. "Sei una grande persona!". Milano. Stazione Centrale. Un giovane sordomuto. Lascia il solito oggetto, un piccolo portachiavi, con il solito foglietto di spiegazioni. Silenzioso depone i portachiavi davanti ai passeggeri, silenzioso li raccoglie senza che nessuno li abbia comprati: ritira anche il mio. Non dico niente. Poi torna indietro per scendere: qualcosa mi spinge a fermarlo. Gli porgo i due Euro che chiede. Mi guarda e fa un cenno di assenso. Lo guardo e ricambio.
Cosa è successo tra il prima ("Non compro!", "I soliti trucchi, le solite storie") e il dopo (mi decido a comprare, obbedisco a una voce dentro che mi dice: "Compra! Compra!")? Diciamo così: ho cambiato punto di vista! O, per usare altri termini, tratti dalla pragmatica della comunicazione umana: ho cambiato punteggiatura alla situazione. Vale a dire: quel che leggevo secondo una sceneggiatura a me nota come raggiro, finzione, abitudine, ad un certo punto ho iniziato a leggerlo secondo una sceneggiatura diversa, meno usuale, come bisogno, vita, disagio. Cosa è successo in mezzo? Cosa mi ha forzato a passare da un atteggiamento all'altro cambiando la punteggiatura alla situazione?
Ci ho pensato a lungo nei giorni seguenti e ho trovato due risposte possibili.
Prima risposta. Per dirla con Bateson e con l'antropologia situazionale (Hall) ho cambiato la cornice delle mia analisi comunicativa. Ho sostituito la cornice: "Sfaticato che vive di espedienti" con la cornice: "Uomo in crisi che si umilia per vivere". Il risultato è che tutta la situazione si rimodella, si carica di un nuovo significato. Non solo. Comparando nell'analisi le due letture e riportandole alle due cornici, apprendo molto sul peso del pregiudizio nella fenomenologia della nostra vita quotidiana, soprattutto apprendo molto su come cercare letture diverse aiuti a comprendere la diversità.
Seconda risposta. Per dirla con Ramsey, teorico della semantica del linguaggio religioso, quello che è intervenuto è un "discernimento strano", innescato da un'"illuminazione". All'improvviso quel che mi sembrava naturale - il solito vagabondo che cerca di riflarmi le sue cose - mi si presenta sotto una luce differente e inaspettata - un uomo che mi chiama in causa come uomo. Questa illuminazione innesca la mia comprensione differente (il discernimento strano) della situazione: guadagno un livello di lettura superiore, alternativo, sicuramente più profondo.
Da dove proviene questa illuminazione? Posso rispondere in due modi. Da me, dal mio essere capace di fare deuterapprendimento (come direbbe sempre Bateson). Oppure: da un altrove che non sono e che risiede nel mistero insondabile dell'attimo che in quel momento ho vissuto. Il miracolo della comunicazione è custodito qui.
[Nel riquadro: Decalogo 4, di K. Kieslowski]