Wednesday, October 8, 2008

Miti d'oggi


Il "Corriere" del 7 ottobre, nelle pagine della cultura, riporta un "dialogo" tra Alessandro Baricco e Claudio Magris su "La civiltà dei barbari" che è molto interessante per chi voglia ragionare del rapporto tra la comunicazione e i processi di formazione. Un corsivo di Dorfles, a fondo pagina, completa il quadro in maniera assolutamente complementare.
Di cosa si discute? Il tema di Baricco e Magris è la barbarie, la nuova barbarie che si riconosce nella "folla barbarica, innocente, pacifista dei consumatori di videogame"; una folla "disarmata e ingenua" per la quale "il vivere diventa un surfing, una navigazione veloce che salta da una cosa all'altra come da un tasto all'altro su Internet; l'esperienza è una traiettoria di sensazioni in cui Pulp Fiction e Disneyland valgono quanto Moby Dick e non lasciano il tempo di leggere Moby Dick". Dorfles rinforza l'analisi contrapponendo in maniera molto marcata "impero dei sensi" e "impero dei tasti": l'idea è che "l'avvento di una società e d'una vita comunitaria che soggiaccia all'impero dei tasti, piuttosto che - come a i bei tempi - all'impero dei sensi, sia l'emblema di una resa al fatto di essere comandati anziché di comandare; all'essere succubi di un volere alieno senza il quale non è più possibile procedere nel proprio cammino. Insomma di avere venduto se non l'anima, la propria iniziativa a una coercizione di cui siamo vittime spesso inconsapevoli, ma comunque inesorabilmente partecipi".
Cosa abbiamo qui? Abbiamo uno splendido esempio di come la comunicazione, nel nostro spazio pubblico definito dai media, funzioni mitologicamente. Mitologicamente nel senso di Roland Barthes, per il quale il dispositivo mitologico è una semiosi di secondo livello grazie alla quale prendiamo un significato, lo facciamo diventare forma di un altro concetto e attraverso questa operazione otteniamo una nuova significazione. La finalità dell'operazione è chiara: far percepire come natura ciò che di fatto è cultura, ovvero lasciar intendere che un costrutto è un dato. Ideologia.
La comune assunzione mitologica di Baricco e Magris è che Internet (più in generale le "nuove" tecnologie della comunicazione) siano sinonimo di superficialità (vs la profondità della cultura del libro), velocità (vs la lentezza di cui necessita l'appropriazione del dato culturale), ingenuità (vs la consapevolezza critica che l'uomo di cultura possiede). Chiaramente se Internet (forma) implica tutto questo (concetto), allora è chiaro che divenga spazio di una nuova barbarie (significazione). Analogo il funzionamento del ragionamento di Dorfles. L'"impero dei tasti" (ancora una volta le tecnologie della comunicazione) è per assioma collocato all'opposto rispetto a quello dei sensi, ovvero ritenuto spazio di una mancanza di libertà che isola dalla vita (i sensi) e confina l'uomo in uno stato di costrizione. Il problema, in tutti e due i casi, barthesianamente, è che l'idea della tecnologia come barbarie e schiavitù non è natura, ma cultura: è un costrutto, che si lascia intendere surretiziamente sia invece uno stato di fatto!
Il convegno che l'Università di Milano Bicocca dedica il 10 ottobre alla democrazia digitale, mi pare appartenga a tutti gli effetti alla stessa tipologia di discorsi. Il concetto di "democrazia digitale", infatti, è un costrutto mitologico. Riposa sulla catena: Internet (forma) in quanto spazio libero da controllo (concetto) costituisce una reale opportunità per l'esercizio della democrazia (significazione). Ancora una volta si cerca di far passare per una constatazione quella che di fatto è solo una rappresentazione culturale. E allora si tratterebbe di discutere per quali ragioni produciamo (abbiamo prodotto) questa rappresentazione. Stiamo configurando una sorta di fuga dalla realtà "reale" cercando la democrazia lì dove la possiamo (ancora) trovare, poiché di fatto non ne facciamo più esperienza negli Stati tradizionalmente intesi? Ci stiamo autolegittimando come "casta tecnologica" investendoci del compito della difesa di valori (non solo la democrazia, ma la pace, la giustizia, ecc.) che il mondo sta invece smarrendo? O ci stiamo semplicemente legittimando come intellettuali, secondo un dispositivo di valorizzazione sociale tipico del recinto della cultura (e che Bourdieu ha magistralmente descritto?).
Queste sono le domande cui cercare risposta e non quella relativa alla possibilità di una democrazia digitale. Sulla quale ho peraltro due annotazioni da fare.
Prima annotazione. Parlare di "democrazia digitale" implica una rappresentazione della Rete (del computer, del telefonino) come mondo altro, separato da quello reale. La ricerca e le pratiche sociali dimostrano che non è così, ma che queste tecnologie sono innestate nel mondo delle pratiche individuali e sociali "reali".
Seconda annotazione. Siamo proprio sicuri che la "trasparenza" della comunicazione sia garanzia di democrazia? Se così fosse allora la società dello spettacolo nell'età del Grande Fratello e della guerra in diretta dovrebbe costituire il massimo della democrazia. Ma pare che non sia così. Insomma, inviterei a rileggere quel che Debord, Breton e Vattimo scrivevano su questo punto ormai quasi vent'anni fa.

7 comments:

  1. quesot è uno dei post più corretti che ho letto a proposito della democrazia digitale, mi trova d'accordo più o meno su tutto, spero di vederla domani al convegno della bicocca, perché servirebbero voci un po' critiche sull'argomento, io ci andrò.
    Probabilmente non sono in grado di articolare il discorso bene come lei, ma l'opinione che ho espresso sul tema tocca più o meno gli stessi punti, se le interessa le lascio il link di seguito: http://www.lorenzobellini.it/2008/09/27/convegno-democrazia-digitale/

    Lorenzo Bellini

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  2. come non detto, ho visto ora che è tra i panelist di domani, un motivo in più per esserci :-)

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  4. Premesso che concordo con quello che si afferma in questo post, e che si è affermato in sede del convegno, la sensazione che mi porto a casa è che questa occasione poteva essere sfruttata decisamente meglio.
    Non so se si possa parlare di colpe o di cos'altro.
    Sono dell'opinione che in Italia - a livello attuale - manchi una consapevolezza necessaria che riesca a far fruttare le problematiche e i temi che si trattano.
    Non ha senso nemmeno interrogarsi sulla democrazia digitale se lo stato delle cose è questo: se si teme ancora Google come il grande fratello, non si potrà andare molto lontano.
    Penso che il convegno abbia dimostrato tutto questo.

    A presto.

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  5. Concordo con Stefano. Anche secondo la mia modesta opinione, il convegno della Bicocca mi è sembrato però un'occasione mancata, nonostante i "nomi" e il livello dei relatori fossero davvero interessanti. Gli interventi invece mi sono sembrati un po' troppo generali e generalisti...forse perchè il target della platea era più pensato per studenti? In ogni caso, c'erano tematiche davvero interessanti da affrontare e forse... in effetti un'altra cosa che mi ha colpito è stata la stragrande "assenza" del mondo della scuola in generale, a riprova che università e istituzioni scolastiche non parlano abbastanza o forse non riescono ancora a farlo, proprio quando invece esiste l'urgenza di un impegno comune ( penso anche all'intervento di Mantovani o di Cartabia)...
    ultima piccola notazione personale senza alcuna polemica(]:-]):
    una sola donna relatTRICE a fronte di 11 relaTORI... e che pure so che collaborano con moltissime donne che stimano e rispettano ( e alcuni di loro forse non potrebbero lavorare altrettanto bene snza il contributo di alcune assistenti ....penso solo alle "tutor" dei corsi gestiti dalle due facoltà chiamate in causa...)...eppure di donne e tecnologie se ne parla tanto...evidentemente non ancora abbastanza...anche questa si chiamerebbe democrazia digitale eh eh eh

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  6. non amo particolarmente le quote rosa...mi fa tanto "panda in estinzione"...;-) perchè invece non ri-aprirlo questo dibattito?...sono certa sarebbe bello discutere su come uomini e donne guardino alle tecnologie oggi e soprattutto le vivano...
    che ne dite?

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