Il 28 aprile scorso sono stato impegnato a Genova in una giornata di formazione con gli operatori delle ASL liguri che inaugurava un ciclo di incontri sulla Media Education come strumento di prevenzione nel lavoro con gli adolescenti. Il titolo che mi è stato assegnato chiedeva di problematizzare il rapporto tra generazioni riguardo all'uso dei media e di indicare strategie operative per superare il gap a questo riguardo. Ho organizzato il mio intervento in tre momenti:
- un'attività di innesco;
- una definizione dei termini e dei problemi in gioco;
- l'indicazione di alcune proposte operative.
1. Giochiamo con gli SMS...
Ho iniziato col verificare che tutti avessero il cellulare... acceso. Poi ho chiesto di comporre un SMS nel quale spiegare a chi non ne sapesse nulla chi/cosa è un nativo digitale. Mentre tutti tenevano il loro SMS composto sullo schermo del loro telefonino ho avviato un brain storming sulle difficoltà incontrate per redigere il testo. Le risposte, in ordine sparso, hanno constatato che:
- occorre una manualità allenata;
- è difficile digitare velocemente;
- occorre conoscere la sintassi degli SMS (ad esempio per ricorrere a smileys e abbreviazioni);
- si deve sintetizzare in poche battute un concetto complesso e articolato;
- bisogna tenere presente il target cui ci si sta rivolgendo.
L'analisi di queste osservazioni ci ha condotto a una prima conclusione provvisoria: la redazione di un SMS non è un gioco banale, richiede lo sviluppo di skills e competenze.
Per skill intendo un'abilità procedurale, la destrezza, la capacità d'uso che si acquisisce in forma di habitus (nel senso aristotelico del termine) attraverso l'esercizio, la reiterazione del compito.
La competenza, invece, è un sapere di azione, è la capacità di agire strategicamente orchestrando schemi di azione per risolvere problemi complessi.
Ho chiesto a questo punto di inviarmi gli SMS. Eccone qui di seguito qualcuno (ricordo che la richiesta era di definire il nativo digitale):
- "Chi è cresciuto respirando le nuove tecnologie"
- "Nato con la tast, il pc e amico di google e dei blog"
- "Chi è nato e cresciuto nell'era di internet dal '90 in poi"
- "Persone che sono cresciute masticando pane e tecnologie digitali. Inevitabilmente giovani"
- "Nessun pulsante, nessuno schermo, nessuna tastiera o attrezzo "connesso" mette in crisi un nativo digitale!"
La pubblica lettura di questi SMS (erano molti di più, ho riportato i principali) ha consentito di avviare una discussione sulle rappresentazioni individuali e sociali del nativo digitale. Il risultato è stato l'accordo sul fatto che il nativo abbia dimestichezza con la tecnologia, ma l'apertura di due fronti: quello di coloro che lo ritengono una categoria generazionale (giovane, nato negli anni ''90) e chi invece ritiene di no. Tornerò più avanti sulla questione che ho già peraltro "liquidato" in un altro post di questo blog.
2. Termini e problemi in gioco
La diffusione sociale dei nuovi media genera nuove forme di organizzazione cognitiva che sono legate a nuove modalità di fare esperienza del mondo. Ne individuo tre fornendo di ciascuna una definizione, alcuni esempi, la funzione cognitiva che essa interessa e il tipo di gap che suggerisce.
a) Workflow Learning (WL)
Si tratta letteralmente di un apprendimento che avviene contestualmente allo svolgimento di occupazioni che non hanno nulla a che vedere con l'apprendimento.
Alcuni esempi:
- apprendere le funzioni di un cellulare usandolo;
- sviluppare competenze inferenziali videogiocando;
- raccogliere informazioni sull'attualità facendo zapping in televisione;
- imparare a rendere la propria comunicazione sintetica, significativa e mirata al suo target componendo SMS.
La funzione cognitiva maggiormente sollecitata (modificata?) dal WL è l'attenzione: non viene richiesto che sia focalizzata; si apprende comunque anche se essa è distribuita.
Qui il gap rispetto a logiche di apprendimento più tradizionali si registra esattamente al livello della coppia focalizzato/distribuito: in contesto formale l'apprendimento è sempre intenzionale e presuppone l'attenzione esclusiva di chi apprende.
b) User Generated Context
Si tratta di una forma particolare di protagonismo dell'utente che consiste nella capacità di generare contesti cognitivi personali all'interno dei quali collocare le informazioni e le esperienze che ci appartengono per assegnare ad esse significato.
Alcuni esempi:
- ricorrere ad aggregatori di risorse Web per disporre di una mappa sintetica delle proprie forme di presenza on line;
- utilizzare gli RSS feed per rimanere aggiornati sui temi di proprio interesse;
- organizzare le proprie informazioni in forma di repertori di link (come in Delicious);
- usare tecniche di ritaglio, riporto, citazione per appropriarsi di idee e contenuti che ci sentiamo di condividere.
La funzione cognitiva in questo caso sollecitata è la memoria: quella a breve termine viene sollecitata al momento della navigazione/selezione delle risorse da contestualizzare, quella a lungo termine viene chiamata a fissare più che i contenuti, i contesti e i percorsi che servono al recupero efficace dei dati.
Il gap rispetto alle logiche di apprendimento tradizionale è legato a un uso diverso della memoria a lungo termine: dalla memoria-magazzino alla memoria-indice.
c) Friends Storing
Si tratta della capacità di allestire e mantenere reti sociali all'interno delle quali reperire risorse e informazioni e attraverso le quali esercitare l'intelligenza collettiva e la partecipazione.
Alcuni esempi:
- organizzare la lista dei propri amici nel social network;
- creare e mantenere gruppi in Facebook;
- partecipare a newsgroup e liste di discussione;
- utilizzare servizi di condivisione e conversazione come Google Buzz e Twitter.
In questo caso quel che viene sollecitato è l'intelligenza sociale e connettiva: la capacità di entrare in relazione con altri soggetti, di entrare in logiche di tipo collaborativo, di sviluppare forme di partecipazione.
Il gap in questo caso è legato al tipo differente di cultura che si costruisce insieme alle sue logiche. Le culture di questo tipo sono culture partecipative (Jenkins) basate sulla condivisione di spazi di affinità (Gee) e caratterizzate da alcuni elementi distintivi:
- forte senso di appartenenza, percezione di importanza rispetto al legame sociale;
- forme di tutoraggio peer-to-peer;
- spinta alla condivisione e alla creazione di materiali;
- barriere abbastanza basse rispetto a impegno civico ed espressione creativa.
Si tratta di aspetti che normalmente non appartengono ai contesti tradizionali, tendenzialmente individuali e non partecipativi.
In tutti questi casi il gap è generazionale? E' un problema di anagrafica? O di competenze sviluppate con l'uso?
3. Colmare il gap
Cominciano a individuare livelli diversi ai quali il gap si può registrare.
Vi è anzitutto un participation gap: è il problema dell'accesso diseguale, che comporta di negare a chi non ha accesso la possibilità di usufruire delle opportunità dei media digitali, a chi ha già delle competenze di non poterle utilizzare.
A un livello più alto è il language gap: si può avere accesso dal punto di vista tecnico ma non possedere gli alfabeti. Le competenze informatiche di base sono una competenza-chiave di cittadinanza nella società odierna.
Il linguaggio, il controllo tecnico del mezzo e dei suoi alfabeti non è tutto. Vi sono conoscenze relative al mondo della comunicazione digitale che non si possono ridurre alla padronanza del mezzo (knowledge gap).
Infine, occorre comprendere che i media sono sistemi culturali che modellano le rappresentazioni e i valori e costituiscono spazi di organizzazione dei significati e delle pratiche attraverso cui produrli (culture gap).
Metodologicamente, questi gap si possono colmare a due livelli:
- individuale, attraverso lo sforzo di conoscere, sperimentare, usare, acquisire competenze;
- operativo, immaginando modalità che consentano all'operatore di usare nell'intervento gli stessi strumenti, gli stessi linguaggi, le stesse logiche che animano le attività individuali e sociali con i media nel tempo e negli spazi dell'informale.
Riferimenti bibliografici:
H. Jenkins (2010). Culture partecipative e competenze digitali. Milano: Guerini & Associati
P.C.Rivoltella, S. Ferrari (eds.)(2010). A scuola con i media digitali. Milano: Vita e Pensiero.
Per approfondire la questione dei nativi digitali:
- http://www.giannimarconato.it/2010/01/come-apprende-un-nativo-digitale-una-testimonianza/
Sono una delle fortunate "discenti" del corso di Genova, e la ringrazio di averci dato la possibilità di godere di una (rara, sic!) lezione stimolante, interessante, vivace e condotta con molta cortesia e attenzione verso i partecipanti! unico rammarico non aver potuto seguirla tutta :( - ciliegina sulla torta, questo chiarissimo post e un sacco di "stimoli" da elaborare ancora, fantastico!
ReplyDelete:-D (che soddisfazione, il mio sms nel post!!) ^_^
ReplyDeleteGrazie del feed-back. Sono contento se l'aula ha funzionato e ancor più se il post è servito. L'SMS nel post: non potevo sapere fosse suo. Ma se è finito lì è perché in qualche modo era modellizzante rispetto alla discussione che si è attivata in aula. A presto e buon lavoro.
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