
Personal Blog of Pier Cesare Rivoltella. A place where it's possible to talk about Media, ICT and Education
Thursday, February 11, 2010
Diario Carioca

Thursday, February 4, 2010
Il volto sociale di Facebook

Friday, January 22, 2010
Educare ai media nell'extra-scuola

Il 22 gennaio si è svolto a Milano, presso la sede della Curia Arcivescovile, un convegno sulla Media Education e l'extra-scuola. Al centro dell'attenzione soprattutto l'oratorio (ma non solo) come spazio privilegiato per l'intervento educativo con e sui media. La giornata, costruita su due sessioni di lavoro, ha consentito di riflettere sia sui quadri teorici che sulle pratiche. Nel mio intervento, sulla base della sintetica descrizione del paesaggio in trasformazione dei media digitali, ho ragionato attorno a tre ordini di considerazioni.
Saturday, January 16, 2010
I media, i giovani, l'educazione

Una giornata di studio dell'OEC su "Nuovi media e nuove relazioni. Dialogo, amicizia e identità cristiana" (Brescia, 17 gennaio 2010) mi fornisce lo spunto per un post in cui tornare a ragionare sul rapporto che pone in relazione oggi i media con i giovani e l'educazione.
Tuesday, January 5, 2010
Ieri era meglio di oggi?

La ricerca (condotta in collaborazione cone la Fondazione Oratori Milanesi e Pepita Onlus) ha eletto a proprio focus l'esperienza del gioco in un campione di 2500 soggetti tra gli 8 e i 16 anni. L'obiettivo era duplice: da una parte, verificare quali siano le abitudini di bambini e ragazzi rispetto al giocare, in particolare se e come la comparsa di giochi tecnologici (videogioci in testa) stia modificando queste abitudini; dall'altra parte, indagare sulla capacità degli adolescenti di sviluppare responsabilità verso i più piccoli se chiamati a svolgere compiti educativi. I risultati sono in netta controtendenza rispetto all'immagine di bambini e ragazzi cui veniamo quotidianamente socializzati.
Innanzitutto quel che emerge è il profilo di bambini e di ragazzi “normali”. Certo la normalità non fa notizia, ma fino a prova contraria costituisce ancora lo spazio più ampio di lavoro per chi si occupa di educazione. Non tutto è patologia, né ci cresciamo in seno sempre e per forza soggetti devianti, anche se la tentazione di crederlo è ricorrente, come Freinet indicava già alla fine degli anni Cinquanta riportando le opinioni degli adulti di allora: “Eh già! Non c'è da stupirsi. I ragazzi d'oggi fanno tutto quello che vogliono. Non c'è più autorità né rispetto. Quando eravamo giovani noi, nessuno osava replicare agli ordini del padre...”. Ecco, il dato rasserenante è che che i nostri ragazzi sono normali. Occorrerebbe ricordarsene, certo non per abbassare la guardia o per minimizzare certi loro comportamenti, ma per accostarsi secondo prospettive più equilibrate ai loro problemi.
Un secondo dato che la ricerca disegna con chiarezza è che il bambino è competente e il genitore assente. Il bambino è competente perché ci sa fare, dimostra di disporre di conoscenze e di abilità (soprattutto riguardo a Internet e alla tecnologia in genere); ma anche perché è più maturo di quanto non si pensi, più consapevole di quel che si sia disposti a credere. In compenso il genitore è tendenzialmente assente, due volte assente: assente perché ha pochissimo tempo da spendere per giocare insieme ai figli, ma assente anche perché quando c'è (è in casa o magari li accompagna al parco) non ci gioca. Si tratta di un'evidenza che suggerisce in modo chiaro due cose. Conferma anzitutto che l'idea di infanzia come quella di adulto sono delle rappresentazioni sociali. E indica che spesso noi continuiamo a usare rappresentazioni del bambino e dell'adulto inattuali: il bambino di oggi non è più quell'adulto in fieri, innocente, immaturo, senza difese che viene descritto dalla letteratura sociale del secondo Ottocento; allo stesso modo si dimostra datata l'idea di un adulto responsabile, capace di tutela e di educazione. Come un bel libro di Anna Mariani recentemente suggerisce, la fragilità è oggi categoria che per paradosso meglio si adatta all'adulto.
Chiaramente sono cambiate le condizioni sociali. L'adulto è sempre meno presente non necessariamente per scelta: entrambe i genitori spesso lavorano (anche se la crisi sta correggendo al tempo imperfetto questa constatazione); questo li porta a passare praticamente l'intera settimana fuori di casa; e anche se lavorano a casa, il tempo della loro permanenza è tempo lavorativo, non è tempo domestico; inoltre temi come l'autorealizzazione personale, la carriera, lo star bene con se stessi, funzionano da distrattori antropologici e finiscono per assorbire anche quei ritagli di tempo che rimarrebbero eventualmente liberi per i figli; per non parlare dell'incidenza della condizione di separati e divorziati per i quali il tempo da condividere con i figli diviene ancora più difficile da trovare e da gestire.
Uno degli effetti di questa situazione è che l'agenda dei minori si riempie, assomiglia sempre di più a quella di un manager. Tempo pieno a scuola fino alle 16.00, martedì e giovedì pomeriggio allenamento, lunedì e mercoledì pomeriggio corso di chitarra, venerdì club degli scacchi o piscina, sabato (o domenica) partita. Anche volendo, sarebbe difficile trovare uno spazio libero: occorre chiedere un appuntamento al proprio figlio, incrociare la nostra agenda con la sua, vedere se vi siano “finestre” libere da condividere.
Dunque, l'occupazione a tempo pieno del genitore produce come effetto l'occupazione a tempo pieno dei figli. Con due rilevanti conseguenze.
La prima. I ragazzi non giocano abbastanza. Uno dei dati più inattesi (e per certi versi inquietanti) che emergono dalla ricerca è che l'11% dei bambini tra gli 8 e i 12 anni dichiara di giocare meno di un'ora al giorno. È poco. E del resto se rimangno a scuola fine alle 16.00 e tornano dalle altre attività pomeridiane alle 18.00 o anche più tardi, di tempo per giocare non ne resta poi molto.
Seconda conseguenza. Quando il ragazzo è a casa, normalmente l'adulto non è presente: questo comporta che venga a mancare il controllo sulle sue attività in generale, su quelle di gioco in particolare. Si tratta di un problema rilevante, soprattutto per quanto riguarda i videogiochi cui dedichiamo l'ultima parte della nostra riflessione.
La ricerca conferma quello che tutti sanno: i videogiochi piacciono molto ai ragazzi. Anzi. Sono la loro attività preferita. La ricerca conferma anche quello che altre recenti ricerche sul consumo di videogiochi hanno evidenziato: i genitori conoscono ben poco dell'attività di videogiocatore dei figli, hanno consapevolezza che videogiocare per troppo tempo fa male, ma non dimostrano di avere consapevolezza che a volte il problema dei contenuti (violenti, ideologici, asociali) di un videogioco è educativamente ben più delicato di quello del tempo che il ragazzo ci passa davanti. Quello che la ricerca dice di nuovo è che lo stesso gradimento dei videogiochi lo riceve da parte dei ragazzi il giocare all'aria aperta con gli amici. I giochi di gruppo, di squadra, piacciono tanto quanto i videogiochi. Con sorpresa scopriamo che bambini e adolescenti di oggi non sono videodipendenti incalliti, tendenzialmente individualisti, chiusi in se stessi e nel mondo virtuale che abitano grazie alla Playstation, destinati a un futuro di obesità dalla loro dieta scorretta e dai loro consumi mediali sedentarizzanti. Rifa' capolino la normalità. Sono normali. E competenti. Lo dimostra il fatto che i videogiochi non cannibalizzino le altre abitudini di gioco: piuttosto si inseriscono tra gli altri consumi e così, oltre a giocare all'aria aperta con gli amici, o a praticare i giochi da tavolo, bambini e adolescenti di oggi videogiocano pure, costruendo delle diete di consumo tutto sommato abbastanza equilibrate. E in ogni caso non sono i videogiochi a rinchiuderli in casa: è piuttosto la mancanza di spazi urbani sicuri, il fatto che spesso il parco pubblico sia lontano da casa e richieda che un adulto ce li accompagni. Il problema sono ancora una volta gli adulti: gli adulti amministratori che non riescono più a progettare città a misura di bambino, gli adulti genitori che per scelta o per necessità si sono dati altre priorità.
E allora forse sarebbe tempo di smetterla di giocare al gioco del “noi e loro”. Il gioco del “noi e loro” è ciò che ci porta a dire che ai nostri tempi era tutta un'altra cosa, che ci bastavano due pezzi di legno e passavamo interi pomeriggi a giocare, che loro non sanno più cosa vuol dire fare fatica, che è tutto troppo comodo per loro. Ma il gioco del “noi e loro” è anche ciò che ci porta a dire che loro sono più svegli, che con le tecnologie digitali si trovano a loro agio perché ci sono nati (i famigerati “nativi digitali”), che riescono a fare tante cose allo stesso tempo perché “pensano in parallelo”. Ancora una volta si tratta solo di un dispositivo discorsivo. Serve a declinare le nostre responsabilità di adulti: serve a dire (soprattutto) a noi stessi che se sono diversi, in fondo, non è colpa nostra. Quel che occorre fare, invece, è rendersi consapevoli che non sono molto diversi da come eravamo noi. Solo così potremo accorgerci che sono migliori di come ce li immaginiamo (e di quanto ce li meritiamo).
Friday, November 20, 2009
Il giornale in classe
.jpg)
La regione di Castelo Branco si trova a circa
Abbiamo visitato tre delle scuole che partecipano al progetto, una a Teixoso, un paese di 3.500 abitanti vicino a Covilhã, sotto la Serra da Estrela (la cima più alta del Portogallo continentale), l’altra a Idanha, a pochi chilometri dalla frontiera spagnola, l'altra ancora a Castelo Branco. Tre scuole molto diverse e che hanno trovato soluzioni altrettanto diverse per far entrare il giornale in classe.
A Teixoso la scuola è bellissima. Costruita su modello svedese è organizzata in piccoli padiglioni. Ciascun padiglione consta di 4/5 aule per la didattica ordinaria e di altrettante aule specializzate (per l’educazione tecnologica, le scienze, la matematica, le lingue straniere). Il blocco principale contiene i servizi: il grande salone per la ricreazione (che all’occorrenza diventa teatro), la radio scolastica, le sale riunioni e di informatica, la sala e il bar dei professori. Proprio qui c’è la sorpresa più grande. In Portogallo il contratto degli insegnanti è di 42 ore settimanali: la scuola (come del resto nel Nord Europa) è un luogo da abitare e questo è subito percepibile, perché lo spazio è vivo, appropriato, non scuola ma casa, una sensazione strana da descrivere. Il giornale scolastico è coordinato da quattro professori, si avvale di quattro giornalisti dell’ottava classe (14 anni) e del contributo dei ragazzi del PIEF che studiano informatica. Il PIEF è il sistema di formazione professionale, integrato alle scuole dell’obbligo (che in Portogallo vanno dalla prima alla nona classe): molte lezioni sono condivise con i compagni, poi la classe si divide e il PIEF segue i suoi corsi professionalizzanti (a Teixoso ci sono tre “canali”: informatica, agricoltura e cucina). Il giornale è assolutamente professionale: formato tabloid, esce in tre numeri l’anno che vengono distribuiti in tutta la zona gratuitamente. L’obiettivo degli insegnanti è di aumentarne la periodicità e di farlo diventare il giornale della comunità locale.
La scuola di Idanha è più tradizionale, ma lo schema organizzativo è sempre quello e la sensazione di un luogo vivo è comunque presente. Saliamo al piano superiore. Sulla parete delle scale piccoli manifesti creati dai ragazzi riportano dei pay-off sul valore del giornale in classe. Uno recita: “Leggere allunga la vita”. Entriamo in biblioteca: un gruppo di ragazzi sta navigando in Internet con la professoressa di francese, nello spazio multimedia altri ragazzi stanno lavorando al giornale, un professore con la barba è seduto in un salottino e sta “catechizzando” un giovanotto con la testa bassa. L’archivio è occupato da quattro insegnanti che stanno facendo le prove: devono incidere un radiodramma che sarà messo in onda per Natale. Chiediamo scusa e li “sloggiamo”. Comincia l’intervista con le insegnanti. A Idanha il giornale in classe fa parte del progetto educativo di istituto e Cecilia, l’insegnante che stiamo incontrando, lo ha adottato con i 19 allievi della sua classe.
L'ultima scuola, a Castelo Branco, ci accoglie mentre una classe sta svolgendo l'attività sul giornale nell'area di progetto (due ore la settimana da dedicare a temi trasversali alle diverse discipline). La classe è coperta da una wireless area: i ragazzi, a gruppi di quattro, si occupano delle diverse attività della redazione, chi scrive articoli, chi elabora i dati di un'inchiesta condotta in scuola sugli alunni del primo anno, chi sceglie immagini. Una troupe della televisione portoghese è presente in aula: mi intervistano e intervistano i bambini. La giovane professoressa che guida il lavoro è brillante. Mi convinco che possiamo immaginare i progetti più affascinanti del mondo e introdurre in classe le tecnologie più sofisticate, ma alla fine è sempre l'insegnante, nel bene e nel male, a fare la differenza.
Alla fine della giornata tiro le somme e individuo tutti i vantaggi che lavorare al giornale in classe garantisce, così come traspare dalle sperimentazioni delle scuole di Castelo Branco:
- consente di potenziare l’apprendimento della lingua materna (in questo caso il portoghese);
- consente di sollecitare l’abitudine alla lettura;
- consente di valorizzare le diverse competenze dei ragazzi (da chi scrive a chi impagina);
- favorisce la collaborazione e lo scambio tra insegnanti e tra studenti;
- aggrega la comunità nel territorio;
- stimola la partecipazione dei genitori alla vita della scuola;
- costringe gli insegnanti a modificare le loro pratiche.
Ma la produzione del giornale in classe dovrebbe consentire, al di là di questi vantaggi che riguardano la didattica, anche di declinare i temi squisitamente educativi della riflessione critica e della responsabilità autoriale. La consapevolezza che la notizia è sempre una costruzione, la centralità del servizio del giornalista alla verità, il valore della riflessione critica sono le grandi lezioni che la Media Literacy ha sempre legato al lavoro in classe con la e sulla stampa. Nell’anno rimanente del progetto triennale che stanno portando avanti le scuole di Castelo Branco dovranno lavorare soprattutto in questa direzione.
Saturday, October 24, 2009
Constructive controversies in Media Literacy
