Oggi a Bologna, presso l'Aula Magna del Dipartimento di Scienze della Formazione, si discute del rapporto tra educazione e cinema d'animazione (l'evento è promosso da Luigi Guerra e dal MELA, il laboratorio di Media Education del Dipartimento coordinato da Laura Corazza). L'evento mi ha suggerito alcune considerazioni al riguardo che condivido di seguito.
1. Non so se il cinema di animazione sia educativo; so che esiste:
- un cinema di animazione educativo;
- soprattutto, un uso educativo del cinema di animazione.
2. Certo il cinema di animazione, tradizionalmente, può funzionare bene in termini educativi in virtù del fatto che risponde a una logica di favolizzazione (Odin, 2005).
Questo rende ragione del fatto che gli adulti, genitori ed educatori, ne abbiano di solito una buona considerazione, non si pongano il problema di eventuali rischi cui potrebbe esporre i piccoli (a differenza di altri prodotti e generi): il cinema di animazione, ai nostri giorni, prende il posto della favola, anzi spesso ne costituisce la moderna versione (si pensi all'epopea Disney).
3. Cosa vuol dire che il cinema di animazione risponde a una logica di favolizzazione? Vuol dire che il suo funzionamento diegetico e di significazione è basato su alcuni dispositivi propri della favola:
a) la semplificazione. Il disegno schematizza, stilizza, coglie l'essenziale. Questo semplifica il lavoro dello spettatore: risiede qui la ragione per cui si ritiene che il cinema di animazione sia "per bambini" (anche se, poi sappiamo che non è vero);
b) la stereotipia. I personaggi nel cinema di animazione sono estremizzati nella loro caratterizzazione, corrispondono esattamente a quel che nell'immaginario diffuso viene a loro associato. Nel cinema di animazione, il cattivo è cattivo, raramente vi sono dubbi;
c) la simbolizzazione. Il tratto grafico riveste la realtà rappresentata di un vestito simbolico. Questo fa sì che con facilità, nel cinema di animazione, i personaggi, le cose, le vicende, prendano la distanza dalla realtà specifica, se ne astraggano, favoriscano l'universalizzazione. Inoltre spiega perché facilmente il cinema di animazione funzioni come un apologo e porti in gioco gli archetipi su cui la nostra cultura si costruisce.
4) Lo sviluppo dei processi di fictionalizzazione, in particolare l'avvento del cinema digitale, rende oggi più difficile distinguere ciò che è cinema di animazione e ciò che non lo è. In questo caso, l'animazione funziona esattamente al contrario rispetto alla sua tradizionale vocazione favolizzante: non risponde a una logica di simbolizzazione, ma di iper-realizzazione; invece di far lavorare l'immaginazione dello spettatore, la reifica, la materializza, facendo sembrare il fantastico assolutamente reale.
5) Quale lo spazio di un uso educativo del cinema di animazione, allora? Mi sembra che possa essere quello del controllo critico, come sempre capita nell'ambito della Media Education. Lo esemplifico in rapida sintesi in relazione agli aspetti finora portati in gioco:
a) semplificazione. La realtà è diversa dalla finzione. I gesti hanno i loro effetti, la morte è irreversibile, la violenza non è ritualizzata e non fa sorridere (come invece capita quando si assiste alle rocambolesche vicende di Vil Coyote alle prese con Beep Beep). Questo vale, probabilmente ancora di più, per il cinema digitale, nella misura in cui nel Fantasy esso consente di trasfigurare la realtà facendola sembrare diversa da come essa è;
b) stereotipia. Lo stereotipo semplifica e cristallizza la realtà. Occorre insegnare al bambino che il cattivo non lo è ontologicamente, senza possibilità alcuna di trasformazione. La realtà, inoltre, non è "bianco-o-nero": il mondo è fatto di un'infinita gamma di grigi, meglio, è a colori;
c) simbolizzazione. Il cinema di animazione contribuisce alla formazione del pensiero morale. Occorre saperlo e accompagnare il bambino a questo riguardo (si pensi, ad esempio, ai fenomeni di moral disengaging in rapporto alla violenza usata contro il cattivo, studiati in USA dalla scuola di Bandura e, in Italia, nelle ricerche di Dario Varin).
Riferimenti bibliografici
Bandura, A. (2002). Selective moral disengagement in the exercise of moral agency. In Internet, URL: http://www.stanford.edu/~kcarmel/CC_BehavChange_Course/readings/Additional%20Resources/Bandura/bandura_moraldisengagement.pdf.
Odin, R. (2005). Sulla finzione. Milano: Vita e Pensiero.