Il 26 ottobre scorso, a Lecce, è stato presentato il volume Saperi pedagogici e pratiche formative. Traiettorie tecnologiche e didattiche dell'innovazione. Saggi in onore di Luciano Galliani (Pensa Multimedia, Lecce 2016). Luciano era presente e il momento è stato occasione per noi e per lui di ripercorrere la sua traiettoria di ricerca e di presenza nella pedagogia italiana. Recupero qui la traccia essenziale del mio intervento che si è articolato attorno a tre parole-chiave: gratitudine, stima, il libro.
1. Gratitudine
Non sono un pedagogista di formazione (vengo dalle scienze della comunicazione e dello spettacolo, in particolare dalla drammaturgia), quindi non ho avuto maestri alla cui scuola crescere (almeno in ambito pedagogico). Ho avuto però la fortuna di incontrare degli scout straordinari: Cesare Scurati, Luciano Galliani, Nicola Paparella. Lo scout ha il dono di intuire le potenzialità delle persone e la capacità di creare le condizioni perché si sviluppino. Nell'Università è una grande dote: solo così si possono far nascere delle scuole e si garantisce continuità alla comunità professionale.
Bene, se guardo indietro e mi chiedo cosa devo a ciascuno di loro, mi rispondo che a Cesare devo: il mio modo di lavorare nella scuola a stretto contatto con insegnanti e dirigenti, la capacità di organizzare e gestire gruppi di lavoro, l'arte della sintesi (Scurati, in questo, era un maestro: le sue "chiusure" ai convegni sono impresse nella memoria di chi abbia avuto la fortuna di ascoltarle).
Nicola è ancora nell'Università e quindi gli ho promesso che gli dirò cosa gli devo solo quando sarà definitivamente passato alla sua "terza missione", la produzione dell'olio d'oliva.
A Luciano devo: quello che sono nell'Università, il metodo, la lettura politica dei problemi e delle relazioni, la capacità di "ballare col diavolo". L'immagine è sua, risale a una Biennale della Didattica Universitaria di tanti anni fa: il diavolo, per la pedagogia, è sempre stato il mercato, quasi come se l'educazione non dovesse averci a che fare. Luciano ha insegnato a tutti noi che invece si può averci a che fare, anzi si deve.
2. Stima
Luciano è stato un apripista. Ha sempre intuito in che direzione si sarebbero messe le cose. I suoi temi di ricerca - le tecnologie didattiche, l'e-Learning, la valutazione, la formazione e l'educazione continua - sono oggi gli snodi del sapere pedagogico e i punti di contatto con il mercato (appunto!) e con le altre discipline.
Luciano ha sempre coniugato ricerca e intervento. Il modello è quello di una pedagogia militante (o impegnata, per usare le parole di Santomauro che Nicola Paparella ci ha ricordato), che si sporca le mani, negozia, prova a trasformare le cose uscendo dalla retorica sterile che non serve a nessuno
Luciano ha sempre studiato. Curioso, attento, informato, mai scontato nei suoi interventi, anzi sempre ricco di spunti, di aperture. Una lezione per i giovani studiosi, un richiamo forte al significato primo dello stare in Università.
3. Il libro
Il volume, di cui ho l'onore di figurare tra i curatori, può essere letto in molti modi. Uno di questi è utilizzarlo come uno spaccato di storia della pedagogia italiana degli ultimi decenni. Di questo spaccato il libro fornisce:
- la mappa dei temi;
- la geografia dei nomi (che bello sarebbe lavorarci con gli strumenti della Social Network Analysis per definirne il reticolo di relazioni e la densità dei nodi!);
- le parole-chiave;
- i riferimenti bibliografici.
Di questa mappa isolo solo un tema, quello dei media e delle tecnologie della comunicazione, la sezione del libro che ho curato. E lo faccio con una battuta. Nel 2000, ad Amalfi, al convegno della SIRD sulle tecnologie didattiche, chi se ne occupava era una microcomunità di studiosi, per lo più giovani, nemmeno tutti strutturati nell'Università. Oggi quegli studiosi sono tutti professori e la comunicazione è una chiave di accesso importantissima, ineludibile, per tutti quelli che si occupano di didattica.
Mi si dirà che è colpa del progresso, della diffusione sociale dei media digitali e sociali e di certo non posso smentirlo. Ma un po' è anche merito di Luciano Galliani.
1. Gratitudine
Non sono un pedagogista di formazione (vengo dalle scienze della comunicazione e dello spettacolo, in particolare dalla drammaturgia), quindi non ho avuto maestri alla cui scuola crescere (almeno in ambito pedagogico). Ho avuto però la fortuna di incontrare degli scout straordinari: Cesare Scurati, Luciano Galliani, Nicola Paparella. Lo scout ha il dono di intuire le potenzialità delle persone e la capacità di creare le condizioni perché si sviluppino. Nell'Università è una grande dote: solo così si possono far nascere delle scuole e si garantisce continuità alla comunità professionale.
Bene, se guardo indietro e mi chiedo cosa devo a ciascuno di loro, mi rispondo che a Cesare devo: il mio modo di lavorare nella scuola a stretto contatto con insegnanti e dirigenti, la capacità di organizzare e gestire gruppi di lavoro, l'arte della sintesi (Scurati, in questo, era un maestro: le sue "chiusure" ai convegni sono impresse nella memoria di chi abbia avuto la fortuna di ascoltarle).
Nicola è ancora nell'Università e quindi gli ho promesso che gli dirò cosa gli devo solo quando sarà definitivamente passato alla sua "terza missione", la produzione dell'olio d'oliva.
A Luciano devo: quello che sono nell'Università, il metodo, la lettura politica dei problemi e delle relazioni, la capacità di "ballare col diavolo". L'immagine è sua, risale a una Biennale della Didattica Universitaria di tanti anni fa: il diavolo, per la pedagogia, è sempre stato il mercato, quasi come se l'educazione non dovesse averci a che fare. Luciano ha insegnato a tutti noi che invece si può averci a che fare, anzi si deve.
2. Stima
Luciano è stato un apripista. Ha sempre intuito in che direzione si sarebbero messe le cose. I suoi temi di ricerca - le tecnologie didattiche, l'e-Learning, la valutazione, la formazione e l'educazione continua - sono oggi gli snodi del sapere pedagogico e i punti di contatto con il mercato (appunto!) e con le altre discipline.
Luciano ha sempre coniugato ricerca e intervento. Il modello è quello di una pedagogia militante (o impegnata, per usare le parole di Santomauro che Nicola Paparella ci ha ricordato), che si sporca le mani, negozia, prova a trasformare le cose uscendo dalla retorica sterile che non serve a nessuno
Luciano ha sempre studiato. Curioso, attento, informato, mai scontato nei suoi interventi, anzi sempre ricco di spunti, di aperture. Una lezione per i giovani studiosi, un richiamo forte al significato primo dello stare in Università.
3. Il libro
Il volume, di cui ho l'onore di figurare tra i curatori, può essere letto in molti modi. Uno di questi è utilizzarlo come uno spaccato di storia della pedagogia italiana degli ultimi decenni. Di questo spaccato il libro fornisce:
- la mappa dei temi;
- la geografia dei nomi (che bello sarebbe lavorarci con gli strumenti della Social Network Analysis per definirne il reticolo di relazioni e la densità dei nodi!);
- le parole-chiave;
- i riferimenti bibliografici.
Di questa mappa isolo solo un tema, quello dei media e delle tecnologie della comunicazione, la sezione del libro che ho curato. E lo faccio con una battuta. Nel 2000, ad Amalfi, al convegno della SIRD sulle tecnologie didattiche, chi se ne occupava era una microcomunità di studiosi, per lo più giovani, nemmeno tutti strutturati nell'Università. Oggi quegli studiosi sono tutti professori e la comunicazione è una chiave di accesso importantissima, ineludibile, per tutti quelli che si occupano di didattica.
Mi si dirà che è colpa del progresso, della diffusione sociale dei media digitali e sociali e di certo non posso smentirlo. Ma un po' è anche merito di Luciano Galliani.