Sono iscritto a molti
gruppi e pagine di Facebook aperti e
gestiti da insegnanti. Io stesso gestisco la pagina del mio centro di ricerca,
il CREMIT, e il mio stesso profilo personale come uno spazio e un’opportunità
per dialogare con gli insegnanti sui temi che riguardano la didattica, i
bambini, la vita della scuola. Spesso ho modo di imbattermi, in questi luoghi,
in riflessioni molto interessanti; spesso, invece, mi chiedo se tutto questo non
sia solo una perdita di tempo. Ho provato a organizzare la mia riflessione al
riguardo.
Molto rumore per nulla
La
prima sensazione, che si può estendere al di là del social network degli
insegnanti e che vale per il mondo di Facebook
in generale, è che in fondo si tratti solo di rumore. Rumore che si aggiunge al
resto del rumore che ci circonda e ci abita. Perché quando le informazioni non
sono più distillate, quando vengono prodotte in eccesso, smettono di avere
valore di informazione. Questo rumore è prodotto da alcuni “tipi” da social. Ci
sono i postatori seriali, quelli che
non possono iniziare la giornata senza pubblicare qualcosa, non importa se
abbiano veramente qualcosa da dire quel giorno. Ad essi rispondono i commentatori seriali, quelli che
qualsiasi cosa tu pubblichi sentono il bisogno irrefrenabile di dire la loro,
anche qui non importa se in modo pertinente, sensato, funzionale a spingere in
profondità la riflessione. E poi ci sono i taggatori
seriali, quelli che ti mettono a parte (e spesso lo fanno invadendo senza
permesso la bacheca del tuo profilo) delle loro conquiste, dei riconoscimenti
ricevuti, delle piccole cose di tutti i giorni. Non si capisce in questo gioco
se la funzione sia realmente l’aggiornamento, proprio e dei colleghi, o se la
partita non si riduca in fondo al posizionamento, alla gratificazione dell’io,
alla soddisfazione del narcisismo. Spesso per questi gruppi e per queste pagine
ho sentito usare il termine “comunità di pratica”. Ma una comunità di pratica
professionale, per esistere, ha bisogno che l’obiettivo sia lo sviluppo professionale
di chi vi appartiene e che questo obiettivo venga perseguito con metodo. Il
rumore, in una comunità di pratica, viene limitato al massimo dalla convergenza
di intenti degli stessi membri.
Lo splendore dell’Ego
Negli
ultimi mesi, nelle ultime settimane, ho spesso assistito in questi gruppi e in
queste pagine a derive comunicative. Una deriva comunicativa è un fenomeno
conosciuto da chi studia le dinamiche di rete. Io posto qualcosa, qualcuno mi
legge e fraintende, oppure legge in modo personale, risponde in modo non
coerente e aggressivo, io reagisco, lui replica, altri prendono le parti chi
mie chi dell’altro, i toni diventano sempre più accesi, si finisce in rissa
verbale. C’è molta rissosità nei social degli insegnanti. E spesso questa
rissosità – che è il contrario di una comunicazione costruttiva – viene
scatenata da un altro “tipo” da social, il guru.
Il guru è un insegnante che grazie ai social ha avuto la possibilità di farsi
conoscere, ha iniziato a ottenere riconoscimenti, ha visto modificarsi il suo
status, si è convinto di essere capace, significativo, influente. Il guru pensa
che qualsiasi cosa lui dica non possa che ottenere approvazione e consenso. E
la struttura del social gli da conferme, perché di solito tra i tuoi “amici” ci
sono coloro che tutto sommato la pensano come te. Mondo in fondo conformista,
il social è molto pericoloso per chi cerca conferme: il rischio è che funzioni
come uno specchio deformante in cui ci si veda molto più grandi di quel che di
fatto si è. Il risultato di questo processo è la lievitazione dell’io: l’io si
gonfia, diviene ipertrofico, considera nemico chiunque non lo approvi. Il guru
accetta solo una comunicazione top-down dove lui dice e gli altri approvano.
Non accetta il guru che siano gli altri a dire, ad avere idee diverse,
soprattutto non tollera l’esistenza di altri guru. Spesso vedo questo dentro
quelle che dovrebbero essere comunità di pratica professionali: vedo un pollaio
con tanti galli, molto rissosi, che sputano sentenze, procedono a giudizi sommari,
scatenano una comunicazione molte volte irrispettosa, volgare, violenta.
Scovare i talenti
La
tentazione è spesso quella di uscire. È una tentazione che vale per il mondo
dei social in generale, ma che per me che mi occupo di insegnamento e di
scuola, vale soprattutto per i luoghi popolati dagli insegnanti. Ma è una
tentazione passeggera. Perché al netto del rumore e dei guru, nei social io
incontro la scuola. Incontro la scuola dei moltissimi insegnanti che in
silenzio, con basso profilo, senza farsi conoscere o cercare riconoscimenti,
fanno cose meravigliose nelle loro classi. Sono insegnanti che attraverso un
post, una fotografia, un commento, ti lasciano intuire la bellezza che devono
saper liberare con e per i loro bambini. Anche qui ho censito due “tipi”. Ci
sono i geni anonimi della didattica.
Ne ho incontrati e ne incontro. Sono insegnanti che grazie ai loro post e alle
loro condivisioni ti lasciano a bocca aperta per la creatività di quello che
fanno e che sembra il risultato di una saggezza naturale; questi insegnanti si
fanno trasportare dal vento dei temi viventi (come diceva Freinet), lasciano
che a ispirarli sia l’attualità, la vita, quello che per i bambini fa problema
qui e ora. Sono anonimi questi
insegnanti. La loro personalità è all’opposto di quella dei guru: pensano di
essere normali, di non valere poi molto, di fare semplicemente il loro
mestiere. I guru fai fatica a farli tacere, i geni anonimi fai fatica a farli
parlare. L’altra categoria è quella dei commentatori
riflessivi. Non ti regalano “likes” per il gusto di farlo, per piaggeria,
per sentirsi parte del gruppo; i commentatori riflessivi aggiungono,
completano, spingono in profondità la tua riflessione. Sia che concordino sia
che dissentano, magari anche solo parzialmente, pensano a costruire e non a
distruggere. Hanno capito questi insegnanti il senso dei social e delle comunità
di pratica professionale: si costruisce insieme.
Ecco,
io credo di aver trovato in questi insegnanti, in queste persone splendide, le
motivazioni per non uscire dai social. Da loro imparo tantissimo, loro mi
aiutano a fare chiarezza su quello su cui sto lavorando, loro alimentano la mia
speranza nel futuro della scuola. Non solo. Mi piace scoprire il loro talento e
valorizzarlo, per quel che posso. Vuol dire aiutarli a riflettere sulle loro
pratiche e convicerli a comunicarle. Un articolo, un libro, uno strumento da
mettere in rete, la disponibilità a fare ricerca insieme, la formazione.
Attività che non sono alternative alla classe: sarebbe un delitto togliere
questi insegnanti dalla classe, anche perché morirebbero come pesci fuori
dall’acqua. Attività, invece, che consentano alla classe, alla loro classe, di
estendersi, di aprirsi, per diventare lievito di un processo di contagio
positivo.
Mi
piace fare scouting, ecco, lo confesso. La scuola italiana, proprio come i
campetti di periferia, è piena di fuoriclasse in attesa che qualcuno si accorga
di loro.