Questa fotografia è del 12 novembre del 2012. Si era saliti a Barbiana con l'amico Luca Toschi e si era trovato lì, senza esserci accordati, Michele, Michele Gesualdi. Pochi mesi dopo si sarebbero manifestati i primi sintomi della terribile malattia che ce lo ha portato via. Ma quel giorno era in forma, in splendida forma. Abbiamo passato ore ad ascoltarlo, mentre si muoveva con noi nella stanza dove si faceva scuola a Barbiana, e poi sotto, nel laboratorio, e poi ancora su... Sembrava che il tempo si fosse fermato e che il priore dovesse uscire da un momento all'altro: Michele lo materializzava con lo sguardo, con il gesto, ricordando dove stava e cosa diceva. Una drammaturgia didattica, teatro della vita, spiegazione vivente di cosa significava Barbiana per lui, il fratello Franco, gli altri... No, non una drammaturgia, un ufficio, un rito, cui abbiamo avuto la benedizione di prender parte.
Qui Michele ci mostra uno dei loro "libri di testo". Si facevano così: la mamma di Don Lorenzo portava su le riviste patinate che si leggevano a Firenze; loro le prendevano, guardavano e selezionavano le immagini, le ritagliavano, le incollavano; poi si commentavano, ci si scriveva le didascalie. Li si faceva così i libri a Barbiana. Oppure li si costruiva sui cartelloni e poi li si appendeva alle pareti. Il self-publishing non nasce con la scuola digitale: era già lì, nel bricolage didattico della canonica.
Raccontava Michele, raccontava con lo sguardo e la voce di chi rivive. Raccontava i primi tavoli dove si sarebbe fatta scuola e spiegava che a Barbiana la scuola era nata in laboratorio, letteralmente: morsa, pialla, chiodi e martello. Raccontava le serate di cineforum, con Don Lorenzo a proporre i grandi del cinema classico e poi ad analizzare, a discutere. Raccontava la lettura del giornale, la scuola del pensiero critico, lo sviluppo della parola. Media Education diremmo noi oggi. Media Education come spazio per costruire la cittadinanza. Imparare a parlare e a pensare per essere cittadini.
Raccontava Michele il lavoro, il lavoro duro, le ore passate a scuola. Perder tempo era una delle cose più gravi per Don Lorenzo: la "bestemmia del tempo". Guai a buttarlo via, guai a usarlo per sé. Il tempo andava usato tutto nell'impegno, e nell'impegno per gli altri. Era la motivazione "da dare a chi non ce l'ha": capire di poter essere utili per gli altri, e donarsi.
Pensavo con tenerezza a tutto questo leggendo nei giorni scorsi della morte di Michele Gesualdi. Ci pensavo leggendo il suo libro-testamento, L'esilio di Barbiana. E mi sembrava di ascoltarlo, di sentire le sue parole quel giorno di autunno, a Barbiana. Mi sembrava di vederlo mentre ci mostrava l'immagine del Santo Scolaro, la materializzazione del fatto che don Lorenzo aveva voluto più bene ai suoi ragazzi che a Dio. E lui lo sapeva bene, lui che nella canonica aveva vissuto per dodici anni. Ora li immagino mentre si abbracciano in Paradiso, come il priore ebbe a promettere anche ad Adele Corradi.
Grazie Michele perché quel giorno, incontrando te, è come se avessi incontrato Don Lorenzo. E mi sono tornate alla memoria le parole di Lettera a una professoressa che avevo letto a scuola a 14 anni per la prima volta. E ho capito perché ho fatto l'insegnante e ancora non ho smesso. Come scrisse una volta Don Lorenzo: "Quando avrai perso la testa, come l'ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio. Ti toccherà di trovarlo per forza perché non si può fare scuola senza una fede sicura".