Si può essere credenti e nazionalisti? Il cattolicesimo sopporta atteggiamenti di chiusura, prevaricatori, se non di aperto razzismo? D'altro canto, l'essere cattolici è compatibile con l'accettazione di certe logiche della tarda modernità che indicano chiaramente nella direzione della secolarizzazione? E il mercato? È compatibile con l'identità del cattolico?
Sono alcune delle domande che la confusione di questi nostri tempi suggerisce e che un agile libro di Ilario Bertoletti aiuta a chiarire: Cattolicesimi italiani. Conservatore, liberale, democratico (Scholè, Brescia 2020).
L'analisi di Bertoletti, stringata ed efficacissima, si muove a tre livelli.
Il primo è quello che lo porta a distinguere su base storica tra modi di essere cattolici. C'è il cattolicesimo conservatore, fedele alla dottrina tradizionale, normativo e rigorista in ambito etico, identitario nella difesa della fede e proprio per questo poco disponibile verso i fenomeni migratori e poco indulgente verso l'Islam. C'è il cattolicesimo liberale, favorevole al mercato come spazio della valorizzazione dell'iniziativa individuale, disponibile nei confronti del pluralismo, orientato a sostituire la legge naturale con l'autonomia morale della coscienza. Infine, c'è il cattolicesimo democratico: laicità della politica, superamento di ogni atteggiamento confessionale, accettazione della secolarizzazione e delle sue sfide sono le sue caratteristiche distintive.
Il secondo livello dell'analisi porta Bertoletti a riflettere sugli ultimi papi, sempre in una prospettiva idealtipica per sua stessa ammissione suggerita dallo Schelling di Filosofia della rivelazione e dalla lettura del Concilio di Paolo Prodi. Così a un Giovanni XXIII, papa dell'autorità e dell'agape, succede un Paolo VI, papa della mediazione. A Giovanni Paolo II, papa della presenza, Benedetto XV, papa della fragilità. Per arrivare a Francesco, papa dell'ortoprassi, nel cui pontificato si verifica l'importanza di non lasciar cadere nessuno degli elementi che animano la dialettica tra momento petrino (l'autorità), paolino (la verità) e giovanneo (l'agape).
Il terzo livello è quello dell'oggi, segnato dalla "seconda secolarizzazione", un tempo in cui le domande da cui siamo partiti si presentano in tutta la loro forza di provocazione. Si tratta di un tempo in cui certi leader si presentano con i crismi dei salvatori: «Salvatori elettoralmente scalzabili proprio perché fondati sulla "coazione al superamento" propria del consenso post-mediale- ciò che viene dopo ha de jure maggior valore di ciò che viene prima - purché ad essi si contrappongano leadership dal fiato culturale lungo, in grado di dar voce e rappresentanza al dolore muto - e quindi potenzialmente coartabile in rancore sociale - delle diseguaglianze materiali e simboliche. Leadership attente al contenuto di verità delle forme della esperienza religiosa, non come serbatoi di immediate identità politiche ma quali memorie di quel dolore - memorie che relativizzano il politico che si erga ad assoluto» (pp.48-49).
Un invito a pensare, quello di Bertoletti, sul piano individuale ma anche su quello della progettazione politica che nel caso del credente è sempre anche un problema di testimonianza.
Sono alcune delle domande che la confusione di questi nostri tempi suggerisce e che un agile libro di Ilario Bertoletti aiuta a chiarire: Cattolicesimi italiani. Conservatore, liberale, democratico (Scholè, Brescia 2020).
L'analisi di Bertoletti, stringata ed efficacissima, si muove a tre livelli.
Il primo è quello che lo porta a distinguere su base storica tra modi di essere cattolici. C'è il cattolicesimo conservatore, fedele alla dottrina tradizionale, normativo e rigorista in ambito etico, identitario nella difesa della fede e proprio per questo poco disponibile verso i fenomeni migratori e poco indulgente verso l'Islam. C'è il cattolicesimo liberale, favorevole al mercato come spazio della valorizzazione dell'iniziativa individuale, disponibile nei confronti del pluralismo, orientato a sostituire la legge naturale con l'autonomia morale della coscienza. Infine, c'è il cattolicesimo democratico: laicità della politica, superamento di ogni atteggiamento confessionale, accettazione della secolarizzazione e delle sue sfide sono le sue caratteristiche distintive.
Il secondo livello dell'analisi porta Bertoletti a riflettere sugli ultimi papi, sempre in una prospettiva idealtipica per sua stessa ammissione suggerita dallo Schelling di Filosofia della rivelazione e dalla lettura del Concilio di Paolo Prodi. Così a un Giovanni XXIII, papa dell'autorità e dell'agape, succede un Paolo VI, papa della mediazione. A Giovanni Paolo II, papa della presenza, Benedetto XV, papa della fragilità. Per arrivare a Francesco, papa dell'ortoprassi, nel cui pontificato si verifica l'importanza di non lasciar cadere nessuno degli elementi che animano la dialettica tra momento petrino (l'autorità), paolino (la verità) e giovanneo (l'agape).
Il terzo livello è quello dell'oggi, segnato dalla "seconda secolarizzazione", un tempo in cui le domande da cui siamo partiti si presentano in tutta la loro forza di provocazione. Si tratta di un tempo in cui certi leader si presentano con i crismi dei salvatori: «Salvatori elettoralmente scalzabili proprio perché fondati sulla "coazione al superamento" propria del consenso post-mediale- ciò che viene dopo ha de jure maggior valore di ciò che viene prima - purché ad essi si contrappongano leadership dal fiato culturale lungo, in grado di dar voce e rappresentanza al dolore muto - e quindi potenzialmente coartabile in rancore sociale - delle diseguaglianze materiali e simboliche. Leadership attente al contenuto di verità delle forme della esperienza religiosa, non come serbatoi di immediate identità politiche ma quali memorie di quel dolore - memorie che relativizzano il politico che si erga ad assoluto» (pp.48-49).
Un invito a pensare, quello di Bertoletti, sul piano individuale ma anche su quello della progettazione politica che nel caso del credente è sempre anche un problema di testimonianza.