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Monday, October 31, 2011
Innovazione e tradizione
Qualsiasi innovazione prima o poi si converte in tradizione. Riflettevo su questa constatazione di Walter Benjamin venerdì scorso mentre assistevo al Teatro Carignano di Torino a Man of flesh & cardboard (Uomo di carne e cartone), lo spettacolo con cui Alberto Jona e la direzione del Festival del Teatro di Figura hanno riportato in Italia dopo anni i Bread and Puppet, la storica compagnia di teatro d'avanguardia fondata a New York da Peter Schumann nel 1961.
Bread and puppet vuol dire pane e burattini. Sono i due elementi che hanno sempre contraddistinto la proposta di Schumann: le grandi sagome che sono i veri protagonisti dei suoi spettacoli e il pane che la compagnia distribuisce agli spettatori alla fine della performance, un rito laico che è simbolo di condivisione e allo stesso tempo della quotidiana necessità del teatro. Sì, perché il teatro per Bread and Puppet ha sempre voluto dire impegno politico e partecipazione: una concezione non-spettacolare, volta, secondo i dettami del Nuovo Teatro, ad affermare che la scena è vita e non finzione.
Lo spettacolo presentato a Torino non fa eccezione. Esso mette in scena la vicenda del soldato Manning, in attesa di esecuzione in un carcere militare della Virginia per aver rivelato i dettagli di un massacro di civili compiuto da un elicottero dell'esercito americano nel 2009 a Baghdad. L'allestimento presenta tutte le scelte espressive caratteristiche della compagnia: la presenza di Schumann sulla scena - i lunghi capelli e la barba bianchi - in qualità di officiante del rito; la poetica straniante volta di continuo a strappare lo spettatore all'incanto del teatro; la dimensione corale, a rovesciare la logica dell'attore in quella del gruppo e a riprendere la tradizione della tragedia greca, dove proprio il coro rappresenta il punto di vista esterno sui fatti e lo spazio in cui si organizza la coscienza civile; le scelte espressive rarefatte, densamente simboliche, di chiara provenienza orientale (dal kabuki al bunraku, cui sembrano alludere gli attori-burattinai completamente vestiti di nero). Ma il dispositivo spettacolare non innesca più la protesta, non produce l'adesione dello spettatore. Sono cambiati il clima e il contesto. Negli anni '60 durante la guerra del Vietnam Schumann faceva controinformazione, svegliava l'America e le indicava dove stesse la verità, dietro ai depistaggi dei militari. Oggi la guerra ci è già entrata in casa mille volte grazie alla pervasività dei media: ci ha già sensibilizzati e poi gradualmente assuefatti. Così lo spettacolo si sgonfia e dimostra il suo vero funzionamento, al di là delle intenzioni dello stesso Schumann: è archeologia teatrale, è la messa in scena di un gruppo che è ormai storia. Lo conferma il contesto del Carignano, un gioiello architettonico, ma assolutamente contrastante come spazio-ambiente di un gruppo, i Bread and Puppet, che hanno sempre agito i loro happening nelle strade. Insomma, il vissuto è di non essere a teatro, ma in un museo. Per noi che la poetica del Gruppo l'abbiamo conosciuta sui banchi dell'Università una straordinaria (ma anche un po' nostalgica) madeleine; per alcuni giovani due file dietro a me e all'amico Fabio, una provocazione incomprensibile: "Abbiamo pagato!".
Proprio con Fabio ed Enrica, gli amici torinesi che devo ringraziare per la serata, si commentava lo spettacolo, uscendo dalla sala, mentre Irene ed Eugenia - le adorabili figlie di Enrica - si portavano via come trofeo la testa di un burattino fatta di pane. Si commentava organizzando nel dialogo queste considerazioni che ho provato in gran sintesi a restituire. L'Avanguardia, ciò che negli anni '60 era Avanguardia, oggi è tradizione. Vedere i Bread and Puppet a teatro è un'operazione da intellettuali: negli anni '60 era una forma di protesta. Ma mentre noi - come in un cineforum - "leggiamo" il dato culturale, il soldato Manning sta veramente aspettando l'esecuzione e le madri e i bambini di Baghdad sono veramente morti sotto il tiro degli americani. La verità attorno a cui lo spettacolo ruota è nella frase che si organizza sulla lavagna a fogli mobili che Peter Schumann usa nell'angolo del palco. Su quella lavagna, parole sparse cercano un loro ordine durante l'azione. Quando finalmente lo trovano, la frase che ne risulta è: "Where are we going?". Dove stiamo andando? La domanda è per ciascuno di noi.
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5 comments:
La tua cultura teatrale ti consente di fare riflessioni che insegnano a tutti noi.
Esorto tutti a leggere questa riflessione.
Chi non conosce i Bread and Puppet, guardi lo stupendo film di Julie Taymor, Accross the Universe. Può farsi un'idea ex-post
forte!
Davvero una madeleine dal sapore di nostalgia... Mi ha ricordato (e il naufragar m'è stato dolce...) quando il Professore li invitò a Mlano, a fine anni Ottanta, e loro realizzarono lo spettacolo The Uprising of the Beast all'area Ansaldo, ex fabbrica dell'acciaio, straordinario scenario postindustriale. Io, giovane studente universitario, ero una delle cento comparse (facevo lo scheletro), e andammo in scena sotto la direzione del gruppo per due sere consecutive, la seconda delle quali era il 31 dicembre, credo del 1988. Sì, insomma, il secolo scorso. Oltre al carisma assoluto di Schumann ricordo l'esaltazione di noi studenti, la bellezza di un Pange Linguam cantato a coro, e il freddo micidiale che provavamo a lavorare tutto il giorno in una ex-fabbrica. Ma faceva caldo dentro di noi. E sì, anche un po' fuori: feci capodanno con la febbre, ma tant'è, per il teatro... ;-)
Non so come mai non mi abbia preso la firma... Lo sconosciuto del commento precedente sono io, Giuseppe Pelosi.
Grazie Giuseppe. Quelle occasioni me le ricordo anche io. Due su tutte: noi durante le prove di Branciaroli che metteva in scena al Pier Lombardo Edipus di Testori. Sempre noi al Salone di via Ulisse Dini con Kantor e i Gemelli durante le prove generali di Crepino gli artisti. Ma anche con Polivka alla Sala Fontana per l'Ultima Caccia e sempre con lui a Lovere per Naufragio e Il buffone e la regina. Belle cose...
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