Wednesday, December 7, 2011

Internet addiction?


Federico Tonioni e' uno psichiatra, ricercatore alla Facoltà di Medicina dell'Universita' Cattolica di Roma. A lui si deve, un paio di anni fa', l'apertura del primo servizio clinico in Italia espressamente dedicato al trattamento dei disturbi legati all'abuso di media digitali. Nella giornata del 29 novembre scorso ha organizzato presso il Ministero della Sanità un seminario di studio su questo tema. Ho avuto il piacere di parteciparvi. Restituisco di seguito una sintesi della giornata unitamente alle mie considerazioni al riguardo.

1. Il primo elemento e' che la lettura psichiatrica del rapporto tra giovani e media digitali e' decisamente a tinte fosche. In ordine sparso dalle varie relazioni ho registrato i seguenti effetti che essi produrrebbero:
 - uno spostamento della centratura dalla  soggetualita' allo strumento;
- il collasso della struttura narrativa;
- una sovraesposizione della autorappresentativita';
- iperlessimia, narcisismo;
- mancanza di limiti, propensione per le esperienze estreme;
- la trasformazione dell'organizzazione mnestica;
- l'"estensione" della coscienza, con quel che ne viene in relazione all'abbandono della sfera privata e al senso di onnipotenza;
- la perdita della capacita' di ascolto, dell'altro ma anche di se';
- la idolizzazione della rete che funziona da anticamera della perversione;
- lo sviluppo di tratti ossessivo-compulsivi;
- la negazione della dimensione reale;
- l'isolamento sociale, come nel fenomeno giapponese degli hikikemori, che si porta dietro depressione maggiore, fobia sociale, inclinazione al suicidio.
Insomma, niente male.

2. Riflettendo su questo tipo di quadro mi sento di condividere alcune considerazioni.
La prima e' che da uno psichiatra mi aspetterei che approfittasse delle basi scientifiche del suo sapere e invece (non e' questa la prima volta che mi trovo aconstatarlo), tranne virtuose eccezioni, fa psicosociologia a buon mercato, filosofeggia, insomma per dirla con Umberto Eco "sovrainterpreta". Curioso, in un frangente storico in cui le scienze "morbide" come la pedagogia provano a sciacquare i panni nell'Arno delle scienze dure (come avviene con le neuroscienze), che invece una scienza dura tenti di darsi una coloritura proprio rivolgendosi ad esse.
Seconda idea. Tutto quello di cui al punto primo puo' trovare riscontro nei fatti, ma quando, e quanto, e a quali condizioni? In buona sostanza mi pare che si ecceda in generalizzazioni, cosa che invece quando si parla di consumo mediale non e' mai consigliabile.
Infine, terza idea, ricavo l'impressione di un modo di pensare i rapporti tra i media e i giovani, in fondo causale e deterministico. Invece - come l'intervento di Domenico Pompili ha evidenziato - forse i media digitali vanno pensati come sintomi di un disagio che sta al di la di essi. Così va letto il dato sulla comorbilita', ovvero sulla tendenza di chi ha già una dipendenza (da sostanze, dal gioco) a contrarre anche quella da media digitali: al fondo vi e' una fragilità di personalità che predispone queste persone a qualsiasi tipo di dipendenza, anche quella da media digitali.

3. Con grande lucidita' Federico Tonioni ci ha aiutato a distinguere, a non generalizzare. In due anni di attività del suo servizio, nei circa 300 pazienti incontrati, rileva una netta separazione tra pazienti adulti (20%) e giovani: gli adulti, fruitori di gambling e gioco di azzardo, presentano i caratteri del disturbo comportamentale su uno sfondo autistico; nei ragazzi, fruitori di giochi di ruolo on line e social network, il dato di fondo e' il forte bisogno di interazione. Nel primo caso si può parlare di dipendenza, nel secondo meglio parlare di disturbo psicopatologico da comunicazione mediata. In buona sostanza la tensione alla relazione tipica dei giovani li emancipa dalla dipendenza.

4. Uno spazio e' stato ricavato anche per la parte propositiva, dalla prevenzione all'educazione. Sul versante dell'educazione mi e' parso consolatorio che dopo vent'anni l'idea che serva la Media Education, che la scuola se ne debba far carico, che le famiglie si debbano porre il problema della media awareness, ha finalmente fatto breccia ed e' diventata patrimonio abbastanza condiviso, come il manifesto della Società Italiana di Pediatria dimostra. Al di la di questo, pero', ho riascoltato antiche ricette, per i genitori e per gli eductaori in genere, ormai capaci di rimbalzare di tavolo in tavolo, di convegno in convegno:
- riuscire a navigare insieme nel web;
- essere informati senza essere opprimenti;
- dosare tempi, interessi e spazi;
- evitare il braccio di ferro, giunge a forme di patto condiviso;
- sviluppare una nuova cultura di autoregolamentazione.
Le cose più interessanti a questo riguardo le ha dette il collega del Gemelli che dirige il servizio di neuropsichiatria quando ha fatto riferimento all'uso del videogame per il recupero funzionale a livello percettivo o neurologico (sostituisce la riabilitazione che invece non e' gradita al bambino), quando ha parlato di Mediaterapia (in relazione a motricità, empowerment, engagement), quando ha ricordato che la prevenzione viene da una migliore conoscenza.

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