Thursday, January 30, 2020

La memoria e la gratitudine

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Siamo sull’ultimo vagoncino del trenino che ci deve portare nel cuore della montagna, dove inizia il percorso pedonale di visita delle grotte di Postumia. Il cunicolo scavato nella roccia è stretto e basso: ti viene da abbassare la testa. Partiamo e Ambrogina mi guarda e mi fa: “Speriamo che a qualcuno non venga in mente di alzarsi in piedi…”. Il “qualcuno” era uno a caso dei nostri studenti: un intero Biennio di Liceo e Geometri in viaggio di istruzione. Non riesce a finire la frase, Ambrogina, e “qualcuno” si alza: una stalattite gli scalfisce il cuoio capelluto. Sarebbe bastato che lui fosse più alto o la stalattite più lunga… Passò il resto del viaggio a farci compagnia.
È uno dei tanti ricordi di dodici anni passati insieme, come colleghi e collaboratori. Una delle tante “gite” cui eravamo abbonati, un po’ perché come si dice “avevamo polso”, un po’ perché gli altri insegnanti, per dir così, non facevano a gara per essere della partita.
Ambrogina Tandi era un’insegnante di matematica. Oltre a questo, come insegnante, era quel che si definisce un osso duro. Il consiglio che dava ai giovani colleghi agli inizi della carriera era: “Per i primi due mesi non far vedere i denti!”. Fuor di metafora: non ridere con i ragazzi, non fare il fratello o la sorella maggiore, evita di farti percepire come un amico. E lei in effetti rideva poco. Ma era un gioco, era un trucco per “impostare” la classe: poi, man mano che si conoscevano e gli anni passavano, lasciava spazio alle battute, al sorriso, e costruiva un rapporto più disteso.
La nettezza nella relazione educativa si accompagnava a rigore ed elevate richieste nella didattica. Il nostro era un Quinquennio Brocca, una di quelle sperimentazioni integrali che avevano ricevuto ispirazione dal lavoro dell’omonima Commissione, forse l’unico compiuto tentativo di riforma della scuola secondaria in questo Paese. Il Classico “Brocca” era un liceo classico tradizionale cui si aggiungeva un potenziamento della matematica e della lingua inglese. Quel potenziamento Ambrogina lo aveva preso sul serio, tanto sul serio che un giorno, al cambio d’ora (io entravo, lei usciva) Carlo, uno dei nostri studenti più simpatici e “anomali” (come ebbe modo di dirmi una volta sua mamma in un colloquio), esce dalla classe e indicando col dito la targhetta fuori del’aula le fa: “Vede cosa c’è scritto qui? Liceo classico! Non è uno scientifico!”.
Gli “anomali”. Le piacevano. Più volte mi aveva confessato che quelli bravi non la divertivano. Si divertiva con gli “anomali”, con quelli che facevano fatica ma che erano anche “frizzanti”. Spesso di fronte alla bravata, alla “bischerata”, le toccava di fare la parte con i ragazzi, ma poi, girato l’angolo o raggiunta la sala professori, rideva con me e mi faceva notare l’intelligenza della trovata. Sì, c’è un’intelligenza della trasgressione che io come lei apprezzavamo: perché la scuola non è un sopedale che serve a curare i sani.
Rigore e durezza nella didattica e nel rapporto con lo studente, dietro le quinte lasciavano spazio a umanità e capacità educativa. Ricordo molti consigli passati io e lei a difendere ragazzi che i più consideravano da respingere. Erano ragazzi che chi li voleva bocciare non aveva mai avuto la forza o la voglia di correggere, salvo poi rifarsi al momento dello scrutinio. Ambrogina usava la strategia contraria: non risparmiava loro nulla, li faceva sudare, ma poi sapeva leggere le situazioni con intelligenza pedagogica.
Adesso, a poche ore dal momento in cui le ho dato l’ultimo saluto, questi e tanti altri ricordi emergono alla memoria insieme a quelli di altri colleghi, “fratelli”, scomparsi: Mario Landri, Emilio Bruni - padre, maestro e amico. Sono i ricordi di un noviziato professionale e umano straordinario senza del quale non sarei quel che sono oggi. Sono i ricordi di insegnanti, uomini e donne, autentici e significativi, insegnanti che i loro allievi si ricorderanno per sempre perché li hanno realmente segnati dentro. Con loro si è definitivamente chiusa un’età felice, il tempo di una scuola fatta di relazioni profonde e di amore per i ragazzi, una parentesi irripetibile che ho la fortuna di avere vissuto.
Mi piace pensare che ora Emilio, Mario e Ambrogina tutte le mattine, dopo il “Buon giorno”, discendano la via principale del Paradiso per l’abituale caffè e veglino da lì dove sono sui loro ragazzi di ieri e sui ragazzi di oggi e di domani.

1 comment:

Stefano said...

Già... Io sono uno degli studenti segnati da Emilio, Mario, Ambrogina...