Venerdì 19 ottobre si è svolto a Milano, in Università Cattolica, il Convegno in memoria di Cesare Scurati. Sono stato chiamato a portare il mio contributo sulla sua riflessione in tema di comunicazione educativa. Di seguito la traccia di quanto ho detto nel mio intervento.
Organizzo
il mio breve intervento attorno a due premesse e tre rapidi punti. Chiedo scusa
già fin
da ora di non poterli argomentare dato il poco tempo a disposizione.
Premessa 1 - Io e Cesare
Quindici
anni di collaborazione stretta con Cesare, dal 1994 al 2008. Prima, dal ’94,
nel CdL in Scienze del’Educazione di cui era Presidente, poi nell’attività del
MED e in parallelo con il Corso di Perfezionamento in Media Education che, dal
1998 al 2007, per dieci edizioni, abbiamo tenuto presso l’Università
Cattolica di Milano, infine, dal 1999, per otto anni, presso il CEPaD, di cui
lui fu ideatore e direttore e io coordinatore.
In
tutti questi anni la sua attenzione per la comunicazione educativa fu più
indiziaria che sistematica, periferica più che centrale. Cesare amava dire riguardo a
questo tema: “Dico quel che penso, non
quel che so (perché non so)”. Di
fatto sapeva, soprattutto intuiva che lo snodo della comunicazione sarebbe
diventato un importante spazio di riflessione per la pedagogia e di intervento
per la ricerca educativa.
Premessa 2 - La scrittura ricorsiva di Cesare
Scurati.
L’idea
nasceva nei contesti informali. Si alimentava delle sue letture e si
trasformava in recensione. Dalla recensione passava negli editoriali delle sue
riviste, nelle prefazioni ai volumi che gli venivano chieste, nelle relazioni
ai convegni. Da qui, infine, si distillava e veniva ricomposta secondo un
disegno coerente e compiuto nelle monografie.
Il
risultato, per chi si confronta con la riflessione di Scurati, è di
inseguirla nel tempo, accompagnarla nelle sue giravolte, decifrare il respiro
che la porta a definizione. Ma chi ha avuto la fortuna di vivere i momenti in
cui l'idea nasceva - nella chiacchierata informale, nella lezione a braccio in
un corso di aggiornamento, nel momento della sintesi con cui amava chiudere le
sessioni di convegno - gode di un sicuro
vantaggio posizionale.
Primo punto - Il posizionamento
Scurati
ha dichiarato più
volte che il suo approccio al tema della medialità e della comunicazione (ma direi più in
generale al tema dell'educazione, soprattutto in scuola) era improntato a "una pedagogia tradizionale, di tipo personalistico-professionale".
Tradizionale:
costruita sull'autorità del maestro, sulla sua asimmetria, che non
significa però
riproduzione, bensì apertura a quella che si può
definire "abilitatività democratica", Come amava ripetere
Cesare: "Si educa nella differenza per garantire la parità".
Personalistica:
il personalismo pedagogico era un'impronta che (pur nei distinguo raffinati
posti da Giorgio Chiosso nel suo intervento) Cesare doveva naturalmente ad
Agazzi, alla "scuola" della Cattolica di cui fu esponente brillante,
ma anche allo scoutismo, all'educazione sportiva che fu sempre una delle sue
attenzioni, alla "matrice" salesiana assorbita sui campi
dell'oratorio di Via Copernico.
Professionale:
più
volte Cesare è
tornato, occupandosi di scuola, di dirigenza, di formazione degli insegnanti,
sulla questione se l'educazione sia questione di vocazione o di professione. La
sua indicazione chiara fu sempre per la professione: non entusiasmi, ma metodi,
tecniche, saperi consapevoli.
Secondo punto - Le categorie: tra
ipocomunicazione e ipercomunicazione.
Ipocomunicazione:
"isolamento, restrizione dell'oralità alla presenza, accesso elitario al
l'istruzione". È ipocomunicativa la scuola tradizionale,
quella della lezione frontale e delle riserve nei confronti dei media.
Ipercomunicazione:
"trasmissione a distanza, scritturalità, medialità diffusa, scolarizzazione di massa". È
ipercomunicativa la scuola del fare, quella della didattica esperienziale e del
ricorso massiccio ai media.
È la
dialettica attuale, quella estremizzata dai discorsi pro e contro la scuola
digitale.
Se
prevale l'ipocomunicazione, se prevalgono le riserve della tradizione contro
l'innovazione, allora si dà forma a una scuola in cui c'è
carenza di comunicazione. E qui occorre ricordare che "la comunicazione è, in
questo senso, uno dei volti della generazione e costituisce, al tempo stesso,
la prima garanzia di un valido ingresso nell'umanità".
Se
prevale l'ipercomunicazione, se prevalgono gli entusiasmi innovatori,
iconoclasti nei confronti della tradizione, "si è in
presenza di una condizione tale da provocare il timore di un'invasione e
intrusione dello spirito individuale e la preoccupazione per l'evasione
dall'intimità e
dall'autonomia dell'Io".
Terzo punto - La proposta: scenari e
attenzioni
Ecco
allora la necessità di una composizione delle due istanze.
La
proposta consta di due indicazioni:
- la
ridefinizione delle due condizioni (ipo e iper) come scenari coerenti di un
agire media-educativo unitario;
-
l'attenzione necessaria a tre coppie problematiche che per Scurati coincidono
con quelli che lui chiama "i descrittori della forma-scuola".
Nello
scenario “ipo”
fare medieducazione significa dare strumenti
Nello
scenario “iper”
significa fornire mappe
Al
primo livello si colloca l’alfabetizzazione primaria (tecnologie):
l'e-learning diceva Cesare, i media digitali diremmo noi oggi
Al
secondo livello la alfabetizzazione secondaria (testi): la media education
Coppie
problematiche:
- opacità/trasparenza:
educazione alla parola
- contenuto/relazione:
educazione logico-artistica
- rumore/silenzio:
educazione “sanitaria”
In
questo è già
chiaro che per Scurati lo spazio dei media nella scuola non poteva essere
disciplinare ma trasversale. Ce lo ripeteva ancora negli anni '90 quando noi
propendevamo a credere che la Media Education potesse "entrare nel
curricolo" come disciplina. Aveva ragione lui.