Sono reduce dalla partecipazione al Congresso mondiale delle famiglie. Mercoledì pomeriggio ho partecipato alla sessione dedicata alla comunicazione globale (organizzata congiuntamente dall'associazione Web Cattolici della CEI - che ha presentato la Guida al Web per le famiglie - e da TV 2000), giovedì alla tavola rotonda in cui la Regione Lazio presentava la Carta di Roma per una visione bambinocentrica della vita e della società. In entrambi i casi sono stato chiamato a portare il mio punto di vista sul rapporto che lega i media (soprattutto i nuovi media), i genitori e i figli. Sfrutto questo post per organizzare qualche riflessione che recuperi il senso del dibattito cui ho avuto il piacere di assistere.
1. Con Fabio Bolzetta (che insieme a me, il presidente di WeCa Giovanni Silvestri e Leo Spadaro aveva progettato la sessione) ci siamo immaginati un vero e proprio talk. Così, invece di lasciare la parola canonicamente ai relatori sul tavolo, Fabio si è mosso tra il pubblico, ha raccolto domande, ha fatto interviste. Intanto, dalla regia Andrea Canton suggeriva risorse on line per la famiglia e restituiva l'andamento del dibattito che in parallelo si svolgeva in Twitter. Questi momenti, preceduti da un filmato realizzato da TV 2000 e scanditi da video educativi presi da Youtube, hanno scandito gli interventi del tavolo, sintetici e incisivi come deve essere in un talk. Il risultato è stato comunicativamente efficace consentendoci di raggiungere il nostro obiettivo: discutere sulla comunicazione odierna sfruttandone le forme e gli strumenti espressivi.
2. Il mio contributo è partito da una constatazione: lo stallo delle soluzioni classiche della pedagogia al problema del rapporto tra media e famiglia, basate sulla condivisione del consumo e sul controllo dello spazio e del mezzo. Si tratta di indicazioni non sostenibili. Infatti i mobile devices spostano il luogo del consumo lontano dalla casa (per i minori lo era nell'80% dei casi nel 2006, lo è per circa il 46 % a distanza di sei anni): non serve più tenere il computer in salotto! Ma soprattutto manca il tempo agli adulti: sempre più spaventati, sempre meno consapevoli, sempre più in difficoltà e alle prese con tempi lavorativi assorbenti.
3. Come fare, allora? certo occorre tornare a trovare tempo per educare in famiglia. E, soddisfatta questa condizione, si possono percorrere due strade principalmente. Praticare quella che Meirieu chiama "pedagogia del contratto" - ovvero costruire soluzioni negoziate, ad esempio protocolli di consumo condivisi, codecisi da genitori e figli - e riaffermare la centralità della responsabilizzazione. Lo si potrebbe esprimere con uno slogan: meno controllo, più governo! Il controllo è l'opposto dell'educazione: controlliamo quando non ci riconosciamo capaci di educare. Il governo dice invece di un rapporto sereno con le situazioni, della capacità del genitore di aiutare il figlio a gestire correttamente il suo rapporto con i media.
4. E al di là del metodo, che contenuto dare all'educazione ai media familiare? Darei due indicazioni:
- Educare il senso critico. Contro il potere omologante degli script (Toschi, 2011) occorre recuperare consapevolezza, discernimento, capacità di giudizio.
- Insegnare la comunicazione generativa. I ragazzi di solito tendono a conformarsi agli stereotipi della cultura popolare; occorre invece creare le condizioni perché possano liberare le loro possibilità espressive, perché possano essere creativi.
5. I media...mediano:
- la storia (sempre più filtrata dagli schermi della televisione, del cinema, del social network);
- la realtà (sempre più ibrida, aumentata, ma spesso depauperata degli odori e dei sapori - come dimostra il successo delle fattorie didattiche);
- le relazioni, anche quelle tra genitori e figli.
In quanto mediatori i media svolgono una funzione di catalizzatori a livello macro e microsociale. Sono i catalizzatori del fatto che il problema sono gli adulti, non i media. Per mettere al centro il bambino occorre oggi occuparsi soprattutto degli adulti.
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