Ho partecipato a Torino, nell'ambito delle iniziative
previste in occasione del Salone del Libro, a un convegno sul tema
"Narrazioni mediali e Media Literacy". L'evento era organizzato dagli
amici di Antenna Media, ufficio di rappresentanza per l'Italia dei programmi della Commissione Europea sulla
Media Literacy. Nel mio intervento ho messo a tema proprio il concetto di
narrazione, in riferimento ai media digitali, provando a verificarne le
specificità comunicative e le aderenze
con l'educazione mediale.
Il concetto di narrazione neomediale comprende fenomeni
diversi: le narrazioni della tv interattiva (perché nell'epoca dei media digitali la televisione è costantemente impegnata
in un processo di
continua ibridazione e ridefinizione del suo statuto rappresentativo), ma anche
quelle dei blog, di Facebook, di Twitter, di Youtube.
Quali le caratteristiche distintive di queste narrazioni?
Tra le tante possibili ne individuo tre che mi paiono particolarmente
significative.
1. Anzitutto esse sono narr-azioni. Questo significa che
l'attenzione si sposta dal contenuto, dai racconti, e si concentra sulla
relazione, sulla dimensione fatica, sull'agire performativo. Con Jakobson, ha
natura fatica quella comunicazione la cui funzione non è tanto di e qualcosa o di riarsi alle cose, quanto
piuttosto di mantenere aperto il canale di comunicazione con l'interlocutore,
di garantire il contatto. Per la pragmatica, invece, è performativa quella comunicazione che più che pensare alla comprensibilità dei suoi significati, lavora a che i suoi effetti siano
efficaci. Sinteticamente - recuperando una suggestione dell'ultimo McLuhan -
possiamo dire che le narrazioni neomediali sono spesso più massaggi che messaggi.
2. Le narrazioni neomediali sono anche narrazioni sociali.
Non ci sono più i Padri da ascoltare, l'ethos
e il nomos del popolo da trasmettere, ma tutti raccontano e si raccontano. Le
narrazioni tradizionali erano grandi racconti, recavano iscritto il senso e il
valore dell'autorità, erano narrazioni verticali
in cui normalmente l'asimmetria (di esperienza, di età, di prestigio sociale) pesava in favore dell'adulto.
Narrazioni orizzontali, oggi le narrazioni neomediali sono spesso più happening che spazio per la trasmissione culturale.
3. Narrazioni senza Memoria. Le narrazioni neomediali non
sono più lo spazio in cui si
materializza la memoria sedimentata, si può incontrare la storia, ma
luoghi in cui galleggiare sul presente e mettere in circuito le memorie
biografiche individuali, spesso a metà tra tentazione narcisistica e
ripiegamento calligrafico. Allo stesso tempo, però, la presa diretta con
l'attualità fornisce alle narrazioni
neomediali una terribile forza performativa: basta pensare al rapporto tra
Twitter e la primavera dei popoli arabi, o alla relazione dei risultati delle
recenti elezioni amministrative con un certo uso della blogosfera. Le
narrazioni neomediali sono cronaca, irruzioni nel presente, oscillano tra la
leggerezza del disimpegno e la drammatica urgenza della convocazione.
Cosa comporta tutto questo dal punto di vista
mediaeducativo?
A questo riguardo vedo materializzarsi alcune esigenze che
assumono le forme di altrettante frontiere.
1) La prima è la frontiera etica: se la
narrazione produce effetti, aggira le mediazioni, si fa emotivamente autoriale,
l'azione educativa non chiede più solo che venga sviluppata la
consapevolezza critica, ma che maturi la responsabilità di chi non è più solo consumatore, ma diviene consum-attore.
2) La seconda frontiera è metodologica: gli strumenti
di analisi vanno riadattati per farli funzionare su forme neotestuali fluide,
collettive, disarticolate. Cosa significa oggi fare un'analisi di un profilo in
Facebook, di un filo di discussione in Twitter, di un social network?
3) Infine va considerata la frontiera politica: la
dialettica tra passato e presente, tra disimpegno e convocazione, attiva la
cittadinanza chiedendo alla Media Literacy di diventare educazione civile. Si
tratta di un concetto su cui sono spesso tornato e di cui sno sempre più convinto.
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