Si è svolto, sabato 14 aprile e domenica 15 aprilei, a Torino il seminario di studio Eduskill (seguendo il link si trovano i video di tutti gli interventi), organizzato dall'associazione ACMOS di Torino insieme a Urban Experience. Mi è stato chiesto di intervenire con un contributo sul concetto di New Media Education. L’ho sviluppato in tre passaggi.
1. Il primo passaggio è una premessa. Prima del mio intervento, la bella comunicazione di Domnico Chiesa aveva eccepito su alcune tendenze “millenariste” presenti nel dibattito attuale sui media digitali, accennando al tema del “nativi digitali” e di internet che renderebbe stupidi. Ho ripreso lo spunto per sottolineare come in entrambi i casi si tratti di esempi interessanti di moral panic accademico: Carr e Prensky non sono dei ricercatori, ma dei giornalisti scientifici. È veramente interessante che abbiano potuto così tanto sulle opinioni di chi dovrebbe invece fare scienza! Di fatto i nativi digitali sono un alibi: non vi sono evidenze sperimentali della mutazione genetica di cui sarebbero testimoni e si usano le neuroscienze per legittimare una tesi senza profondità. Il problema vero della scuola, oggi, non sono i cervelli diversi dei ragazzi, ma la sua incapacità di sintonizzazione socio-culturale.
2. Quando si parla di New Media Education l’accento può essere portato sui New Media e ci si chiede pertanto che caratteristiche debba avere l’educazione che se ne occupa. In questo caso occorre tenere presente che essi sono protagonisti di un duplice riposizionamento, sociale e concettuale, rispetto ai media tradizionali:
- sociale, perché migrano nelle nostre vite, si indossano. Qui occorre andare oltre una rappresentazione residuale dei media, come di strumenti che occupano alcuni momenti della nostra giornata;
- concettuale, perché dalla tradizionale concettualizzazione che ne faceva degli strumenti, e dalla successiva che li ripensava come ambienti, occorre oggi capire che nella società contemporanea essi sono un vero e proprio tessuto connettivo.
Se si comprende questo duplice shift, si capisce che l’educazione ai media non è più un optional per la scuola, non può esserlo se la scuola vuole continuare a svolgere il proprio ruolo, e cioè quello di formare cittadini: i nuovi media sono dispositivi di cittadinanza.
3. Si capisce, allora, che i New Media richiedono una Media Education che sia New. Ccorre un cambio di paradigma nella Media Education che la riscatti dalla stasi concettuale in cui versa da anni. Le questioni da affrontare sono diverse. Ne indico due a scopo esemplificativo:
- l’esigenza di nuovi metodi di analisi delle forme testuali (cosa significa fare analisi di una pagina Facebook? E di un ashtag di Twitter?);
- l’esigenza di passare dall’educazione del senso critico (obiettivo da sempre della Media Education, certo ancora oggi importantissimo) all’educazione della responsabilità, perché i nuovi media sono autoriali, i soggetti non li usano solo per navigare o ricevere informazioni, ma anche per produrle e pubblicarle.
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