Un modo diffuso di interpretare l'esperienza della pandemia è quello che risponde a una prospettiva palingenetica. L'idea è che dalla crisi si dovrà riemergere migliori, che nella fine si possano intuire già i germi di un nuovo inizio. Si tratta di un'idea antica che appartiene a molte culture e a molte religioni. Su di essa si reggono diverse saghe musicali o letterarie, dalla tetralogia wagneriana all'epopea dello Hobbit di Tolkien.
Ci pensavo in questi giorni leggendo un piccolo libro che Edgar Morin ha scritto per punteggiare questo tempo e renderlo oggetto di riflessione: Cambiamo strada: le 15 lezioni del Corona Virus. Cosa avremmo imparato dal Corona Virus? La crisi del paradigma della modernità, quello soggettivistico, con l'uomo al centro e basato sulla convinzione baconiana che sapere equivalga a potere. Un'equazione che fotografa il senso della ragione strumentale e che sta alla base della tecno-scienza. Averlo compreso, dovrebbe aiutarci a ripartire diversi, a cambiare strada appunto, accingendoci a costruire un umanesimo rigenerato.
Riflettendo su molte delle affermazioni di Morin, le ho istintivamente trasformate in domande. Così quello che nella sua analisi è un'indicazione di lettura, diventa nella mia rilettura un interrogativo. Abbiamo davvero riscoperto l'essenziale, durante questa crisi? La lezione del Covid è stata (ammesso che la crisi si possa dire conclusa), per citare Alexader Langer, lentius, profundius, suavius? Infine, ed è quel che mi interessa di più, abbiamo davvero vissuto (e riscoperto) solidarietà dimenticate?
Per rispondere ho provato a riavvolgere il nastro della crisi pandemica ripercorrendolo alla luce di tre indicatori: il volto della comunità, il tipo di solidarietà, il ruolo delle tecnologie di comunicazione. L'esito di questo rewind è il sospetto (o la consapevolezza) che non abbiamo imparato molto.
Il primo volto di comunità che incontro è quello della comunità emozionale. Siamo nei primi mesi della crisi, nella fase dei flash mob e dell'inno nazionale sui balconi, degli striscioni di supporto ai sanitari e della condivisione nei social. La solidarietà che questo tipo di comunità attiva è una solidarietà leggera, estemporanea, superficiale, che vive il tempo effimero del coinvolgimento. La rende possibile la tecnologia di comunicazione pensata come tecnologia di condivisione: i social come luoghi sociali, come palcoscenici di incontro e contatto digitale.
A questa fase ne segue una seconda in cui il volto della comunità cambia. lo definirei il volto di una comunità accelerata. La si deve alle piattaforme di videocomunicazione e agli strumenti di collaborazione on line che rendono possibile lo smart working e l'Emergency Remote Teaching (DAD, DDI, o qualsiasi altro acronimo si voglia usare per definirlo. La solidarietà che ne risulta è una solidarietà organica che satura i tempi e li addensa, aumenta i carichi di lavoro e sottrae le pause, fa ritrovare tutti alla sera sempre più stressati per giornata interminabili passate a fare slalom tra gli Zoom come Stenmark. La rende possibile la tecnologia pensata come tecnologia di collaborazione: è il trionfo delle piattaforme e dello sharing, della connessione superveloce e delle macchine di ultime generazione
Ora siamo entrati nella terza fase. Si tratta della fase in cui il volto della comunità diviene quello di una comunità immunizzata. La introducono le zone a colori e l'attesa del vaccino prima, poi la ricerca della prenotazione per il vaccino, infine l'ansia di non poter essere vaccinati. Accompagna questa fase una narrazione sociale, rimbalzata dai media, di tipo salvifico: il vaccino salva. Un discorso che produce un terzo tipo di solidarietà: una solidarietà sospesa. Perché è sospesa la solidarietà? Perché si pensa al proprio vaccino e per ottenerlo si è pronti a tutto (con l'eccezione degli immancabili no-vax); si pensa al vaccino per stare bene noi e poter partire per le vacanza, non certo per evitare di contagiare gli altri. Usando il termine di Foucault in modo improprio (lo dichiaro subito) mi sembra di poter dire che le tecnologie funzionano qui come tecnologie del sé: strumenti di un nuovo ripiegamento sull'io, sulla dimensione individuale, sullo star bene noi. Speriamo non sia questo l'umanesimo rigenerato di cui si auspica la genesi...
1 comment:
Thank you for share this informative post.
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