Con Mino Laneve scompare uno dei grandi maestri di quella che forse è stata l’ultima generazione di pedagogisti classici. Prima della specializzazione, prima dei settori scientifico-disciplinari che l’hanno accompagnata, prima della distinzione tra la didattica e la pedagogia, il pedagogista classico è un intellettuale i cui interessi sono assolutamente trasversali, perché usa il dispositivo pedagogico e le sue categorie per “aprire” interpretativamente il mondo. Mino aveva frequentato ambiti e oggetti della ricerca pedagogica proprio con questo tipo di sguardo, sempre dimostrando un’informazione puntuale, uno straordinario orizzonte culturale, una raffinatezza di tratto e accostamento ai problemi che sono sempre stati un elemento distintivo per chi conosceva il suo lavoro.
La sua produzione copiosa e di straordinaria qualità ha avuto almeno tre temi di ricorrente attenzione: la didattica, indagata sul piano epistemologico, metodologico, nel raccordo tra la teoria e la pratica, con un’attenzione da precursore ai temi della cultura e della conservazione museale (numerosissimi i contributi su questi temi e la collana sulla ricerca didattica diretta presso l’editrice La Scuola); l’insegnamento, la pratica dell’insegnamento, accostato con la metodologia dell’analisi di pratica (che lo aveva portato a fondare insieme a Elio Damiano l’APRED, un gruppo di ricercatori che proprio su questo tema hanno portato un contributo significativo, senza dubbio il più ampio e profondo nel nostro Paese); la scrittura, la pratica della scrittura, indagata nelle sue diverse direzioni, da quella alfabetica, tecnica e strumentale, a quella diegetica, aperta al tema del racconto e ai suoi significati antropologici ed educativi (a questo riguardo occorre segnalare la rivista “Quaderni di Didattica della Scrittura”, da lui fondata e diretta). Ma non si possono non ricordare i contributi alla pedagogia generale (tra gli ultimi, Dall’esistere al vivere: La forza dell’educazione), alla storia dell’educazione, gli appunti intimi (come il recente Due anni in pagina: Gocce di inchiostro durante la pandemia).
Qualità e profondità della sua produzione ne hanno fatto uno studioso di riferimento nella pedagogia italiana e non. Maestro elementare, poi insegnante di materie letterarie nella scuola media e di scienze umane e storia nei licei, Mino ha descritto la sua traiettoria professionale all’Università di Bari dove è stato preside di facoltà, direttore di dipartimento, prorettore. Presidente della SIPED dal 2003 al 2006, è stato socio dell'ISATT (International Study Association on Teachers and Teaching) dal 2007 e presidente di Graphein (Società italiana di Pedagogia e Didattica della scrittura) dal 2011. Lascia una scuola, la sua presso l’Università di Bari, che ha espresso allieve e allievi tutte/i contraddistinti dalla sua serietà per la ricerca.
Ma il mio ricordo di Mino Laneve non può limitarsi al ricordo del grande maestro. Mi lega a lui un affetto profondo che ci aveva portati, soprattutto negli ultimi anni, a sentirci spesso e che mi aveva regalato la sua collaborazione alla rivista di aggiornamento professionale per la Scuola del Primo Ciclo che ho fondato e dirigo presso l’editrice Scholé: EaS. Essere a Scuola. Una rubrica, quella di Mino, seguitissima e apprezzatissima. Ci sentivamo spesso al telefono, ma soprattutto si dialogava in WhatsApp. Mino era attento, fine, squisito nell’animo. Mi scrive il 10 agosto dello scorso anno: “Una serata tutta di stelle a te e ai tuoi cari”. L’8 settembre gli avevo scritto per condividere con lui la lettera di un lettore che apprezzava il suo ultimo corsivo su EaS. Mi risponde: “Sei per me persona come poche autentica a cui voglio tanto bene: spero di ricontrarti, magari di invitarti a Napoli per presentare La pedagogia algoritmica auguri per tutto”. “La pedagogia algoritmica” è il libro che ho scritto lo scorso anno insieme a Chiara Panciroli: Mino lo aveva apprezzato, attento com’era agli sviluppi della tecnologia e al suo significato umanistico. Ci siamo accordati perché io lo presentassi a Napoli, nel corso che teneva al Suor Orsola Benincasa. Mi scrive l’11 novembre: “Carissimo Pier Cesare per la Presentazione a Napoli insieme con gli studenti ci siamo orientati per il 17 o 18 aprile se, ovviamente, per te va bene. Un abbraccio: pensaci e fammi sapere. Buona Domenica”. Non gli avevo risposto: con il flusso di comunicazioni che gestiamo, se non rispondi subito rischi di dimenticartene. Lui attese con pazienza. Il 25 novembre gli scrivo: “Caro Mino, perdona la mancata risposta. Bene il 18, anche se in questo momento non so se avrò lezioni in quei giorni. Cercherò di mantenere libera questa giornata. Con che orario lavoreremo?”. Mi risponde: “Tranquilllo: è solo un’indicazione che potremo calibrare a seconda dei tuoi impegni. Un abbraccio”. Gli ultimi due messaggi sono del 23 dicembre e del 20 febbraio. Il 23 dicembre, saputo del mio passaggio dalla Cattolica a Bologna, mi scrive: “Caro Pier Cesare ti faccio gli auguri per ogni bene, SINCERAMENTE, avendo solo oggi saputo della tua scelta personale: ti sono come sempre vicino fraternamente e perciò TI ABBRACCIO”. Il 20 febbraio: “Caro Pier Cesare mi dai cortesemente il tuo indirizzo privato dove inviarti il numero dei Qds grazie e un abbraccio Mino. Ovviamente: quello che tu ritieni più utile”. Mi aveva chiesto un contributo per il numero di QdS celebrativo dei vent’anni di pubblicazione della rivista. Anche in questo caso non gli avevo risposto subito e mi aveva sollecitato. Dopo la mia risposta le sue ultime parole: “Ok grazie e scusami l’insistenza: un abbraccio”. Non ha fatto in tempo a vedere il numero che mi è arrivato proprio in questi giorni.
Scusami tu, caro Mino, per non averti sentito più spesso, per non essere venuto a trovarti, per non aver trovato tempo per intervenire al tuo corso a Napoli prima del 18 aprile. Ti abbraccio forte anche io e ti dico grazie per quello che hai fatto e per quello che sei stato, per la pedagogia italiana ma, un po’ egoisticamente, soprattutto per me.