Friday, March 27, 2009

A day in school in 2020


Yesterday I was in Turin. I was discussing the speech of one of my colleagues, Tracy Gray, from United States. Tracy's speech was very interesting and I mainly agreed with it. Anyway I have some comments to do about the title of the Congress itself (A day in school in 2020) and the trends of the discourses I've heard there.
First of all, in these last months I'm participating to congresses and seminars whose aim is to discuss about what school could be in the future, thanks to education technologies. Reflecting on this case (I imagine it should be better to discuss about what school IS NOW!) I remembered Barthes' words in the conclusion of his famous essay Mithologies. Barthes said there, that in mass societies all we are forced to misure ourselfes with discourses according to which things seem to be more than they really are.
What is Barthes talking about? He is talking about a tipical device of the social history of the media: we can name it "overdetermination of the meaning".
What is it? It is the second one of the three steps within a new technology is introduced in social systems. They are:
1) the invention (that is the creation of technology);
2) overdetermination of the meaning (it means to give to technology a major value than it really has);
3) uses (thanks to this meaning we give it, technology can spread out in social uses and be appropriated by the people).
How this may happen?
Normally people overdeterminates technology's meaning producing discourses able to support and enhance the social diffusion of technology itself. This is what happens when we say things like: "The future is what we build up".
The function of this discourses is to work as emancipation stories. One of this stories is implied by what people means saying: "Somebody says that technology will save us".
So, according to me, nowadays we are doing something like that about the relationship between school and education technologies. The risk is to built up rethorics whose mythologic use (in Barthes' sense) doesn't take in account the real problems we have here, that are teaching and learning practices really passing in the classrooms.
To be aware of these risks it is important to pay almost three main attentions.
First, we must keep in mind that traditional approaches to teaching are resistent to technology. Technology is not able to transform practices by itself; on the contrary, what usually happens is that people appropriates with technology using it according its known practices. So we need new "utilization frames" (Flichy).
Second, we need to consider not only technology, but also all the other variables concerning teaching and learning contexts: students' motivations and cultures, teacher abilities, parents cultures and ways of life, horizontal socialization in pairs group, and so on. Technology doesn't work alone, but become part of real life contexts and people experiences. So we cannot consider it whithout considering its relationships with these factors.
Finally, we must pay attention to some practical problems, the main of them are the relationship between formal and informal education, and between practicies and system. Normally people thinks that to bring Technologies 2.0 into the school could mean to bring social network into the school. It is uncorrect. Social networks live in the informal education space: school is a formal education context. Shifting between them means to imagine strategies that are proper to eachone of them. Finally, we all must be sure that working about practices in small contexts is not like to imagine system changes at the political point of view: the real difficult thing is to act on this secodn level, as it's easy to understand.

Sunday, March 22, 2009

Nati digitali?


Il titolo mi piace poco, devo dirlo. Mi piace poco perché insinua il sospetto che si sia già deciso in anticipo che i media digitali producono trasformazioni nei "nuovi" bambini e adolescenti che ci smanettano sopra. E invece le cose sono più complesse. Perché non è possibile isolare la tecnologia nella sua capacità di produrre effetti sulle persone da tutti gli altri elementi che nei contesti sociali interferiscono su questa relazione. I nati(vi) digitali leggono meno perché passano più tempo con i media? O passano più tempo con i media perché leggono meno? Ed è poi vero che leggono meno? Se si sta a quanto le ricerche dell'équipe di Morcellini hanno fatto emergere sui consumi culturali dei giovani si direbbe di no: e infatti nell'ultimo decennio risulta che leggono di più. Qundi, prima cosa: il rapporto tra soggetto e tecnologia va letto al riparo dalla tentazione di facili determinismi. Chiarito questo articolo il mio pensiero in tre passaggi.
1. I consumi. Qui mi interessano più i tratti che accomunano nativi e adulti (gli immigranti) che non quelli che ne demarcano il gap. Mi interessano di più perché sono messi in evidenza dalla ricerca recente e dai recenti sviluppi degli usi sociali della tecnologia. La mia tesi è che il divario tra nativi e immigranti si va facendo sottile. Penso a tre aspetti. Primo: la tecnologia si va facendo invisibile (Norman), e questo la rende più facile, anche per chi come l'adulto è tradizionalmente meno avvezzo a relazionarsi con essa. Secondo: per tutti (noi compresi) le tecnologie stanno sempre più diventando protesi di competenza sociale. Comode per dirsi cose spiacevoli o comuqnue imbarazzanti, in ogni caso sempre più "innestate" nelle nostre vite. Terzo: la tecnologia (soprattutto i cellulari) va definendosi come uno spazio interessante di relazioni intergenerazionali, luogo di negoziazione dei rapporti, anticamera di un ritorno del dialogo educativo.
2. I punti di attenzione educativi. Sono quattro, comuni alla preoccupazione educativa dei genitori di tutti i tempi. Li possiamo ridurre ai seguenti: luogo (da dove comunicano?), tempo (per quanto tempo e in quali tempi?), contenuti (cosa scaricano? cosa pubblicano?), relazioni (con chi comunicano e quali spazi sociali allestiscono?).
3. Linee di intervento. Le agenzie educative possono ragionare su questi punti di attenzione, presidiandoli secondo i loro specifici. In particolare due parole in più le spendiamo sulla scuola. Qui due osservazioni. La prima. Non è vero che la scuola è solo "giurassico tecnologico", è sempre in ritardo sul nuovo, vive nel passato, è luogo di insegnanti incompetenti e demotivati. Chi ci lavora sa che la scuola è al contrario spazio di molte eccellenze, di professionalità eccezionali, di buone pratiche. Il problema è far diventare tutto questo sistema. Ecco il punto. A questo riguardo ho tre indicazioni operative: a) concentrarsi sul mindware, sulla testa dell'insegnante, cioè sulla tecnologia che realmente fa la differenza; b) applicare alla tecnologia la stessa ricetta che la Media Education ha applicato ai media tradizionali, insegnare il pensiero critico; c) lavorare per la costruzione di un'appropriazione responsabile della tecnologia da parte dei ragazzi. Il tema della cittadinanza passa oggi in larga parte da qui.