Tuesday, August 23, 2016

La morte co la coda



Si è spento ieri a Roma, a 68 anni, Carlo Tagliabue. Storico Presidente del Centro Studi Cinematografici, direttore delle riviste Il ragazzo selvaggio e Film, cinefilo, amante e profondo conoscitore del cinema, sopratutto quello italiano. Anche Carlo - come Adriano Zanacchi, che di poco lo ha preceduto in una sorta di staffetta verso il Paradiso - aveva insegnato all'ISCOS dell'Università Salesiana (e in diverse altre università), Storia e critica del cinema; anche con lui avevo avuto modo di condividere molte estati, a Corvara, in occasione delle summer school organizzate insieme a Don Roberto Giannatelli.
Carlo era un orso, ma buono, come spesso capita. Intimidiva, guardando il mondo da dietro la sua pipa, con gli occhi bassi, di tralice. Chi lo conosceva sapeva che non si trattava di spocchia, di arroganza intellettuale: timidezza piuttosto, che vinceva portando la discussione sul terreno a lui più congeniale, il cinema. Potevi passare intere mezz'ore a sentirlo citare a memoria i dialoghi dei suoi film preferiti: Mario Brega, il camionista di Bianco, rosso e Verdone, che dopo aver siringato la Sora Lella senza che lei si accorga di nulla, sentenzia: "Sta mano, po' esse piuma e po' esse fèro!"; l'immancabile Alberto Sordi,soprattutto quello di Un americano a Roma  - "Maccarone, m'hai provocato e io ti distruggo...". Carlo conosceva a memoria intere parti dei suoi film, le citava in romanesco, con il sorriso sulle labbra. Come a memoria ricordava Trilussa, i sonetti del Belli, come  La morte co la coda:

Qua nun ze n' esce: o ssemo giacubbini,
o credemo a la lègge der Ziggnore.
Si ce credemo, o minenti o ppaini,
la morte è un passo che ve gela er core.

Se curre a le commedie, a li festini,
se va ppe l'ostarie, se fa l'amore,
se trafica, s'impozzeno quadrini,
se fa d'ogn'erba un fascio ... eppoi se more!

E doppo? doppo viengheno li guai.
Doppo c'è l'antra vita, un antro monno,
che dura sempre e nun finisce mai!

E' un penziere quer mai, che tte squinterna!
Eppuro, o bene o male, o a galla o affonno,
sta cana eternità dev'èsse eterna!

Regista televisivo, formidabile conoscitore del linguaggio cinematografico, Carlo sapeva e scriveva di cinema. Lo faceva con la competenza di chi conosce la macchina dall'interno, con l'occhio di chi in una vita aveva partecipato, anche come giurato, a decine di festival in Italia e all'estero.
Scherzava, Carlo. Anche con i miei figli, ai tempi di Corvara ancora piccoli. Con i bambini non aveva una grande dimestichezza, ma l'impaccio con cui vi si rapportava ne restituivano una goffa dolcezza, una tenerezza che non ti saresti aspettato.
Cinefilo e film maker, Carlo Tagliabue è stato anche un instancabile innamorato della vita. Gli piaceva la tavola. Ricordo ancora le spedizioni a Colfosco, al bar dell'Hotel Capella, per degustare un Irish Coffe che a detta sua aveva pochi rivali; o le sue insistenze perché ci rendessimo disponibili al solito "pellegrinaggio" annuale al Passo delle Erbe, per goderci "lo strudel più buono delle Dolomiti".
Negli ultimi dieci/quindici anni ci siamo rivisti poche volte: ma tanto bastava per riattivare una simpatia, una sintonia, che gli anni non riuscivano a cancellare.
Ancora ieri sera, con Alessandra, abbiamo parlato di lui, ricordandolo con il sorriso e con affetto; oggi la triste notizia mi fa pensare alle curiose coincidenze della vita.
Se ne va un uomo intelligente e arguto, che ha saputo fare della leggerezza il suo codice di comunicazione. Mi piace pensarlo mentre citando Brancaleone alle crociate ci incoraggia: "Trasite! Trasite! L'è saldo lo cavalcone!".
Ciao Carlo! Le luci si sono spente. Inizia lo spettacolo. Buona visione!


Friday, August 12, 2016

Un colpo di preghiera



Avevo conosciuto Adriano Zanacchi a Venezia, al festival del Cinema, quando io ero un giovanotto di belle speranze, studente di scienze dello spettacolo, appassionato di cinema e di semiotica, impegnato nel lavoro culturale con i CGS, i Cinecircoli Giovanili Socioculturali, una delle nove associazioni di cultura cinematografica riconosciute dal defunto Ministero del Turismo e dello Spettacolo. Era la fine degli anni'80 e Adriano era il Presidente della SIPRA (ora Rai Pubblicità), la concessionaria di pubblicità della RAI. Me lo presentò Adriana D'Innocenzo, che allora dei CGS era presidente nazionale. Adriano era tra i docenti del corso che stavamo seguendo al Lido di Venezia, nella casa delle suore salesiane, insieme a Mario Brusasco. Mattinata di formazione - analisi del film, soprattutto -, dal pomeriggio a notte fonda proiezioni e conferenze-stampa.
Nel 1990 don Roberto Giannatelli e don Franco Lever mi cercarono per affidarmi una docenza all'ISCOS, l'Istituto di Scienze della Comunicazione Sociale appena istituito. a Roma, all'Università Salesiana. Lì ritrovai Adriano come collega. Insegnava Teoria e Tecniche della pubblicità trasferendo nell'attività di docenza tutta l'esperienza del dirigente RAI ma anche la competenza in materia di immagine e la passione per la questione etica, un'attenzione che avrebbe sempre qualificato in seguito il suo sguardo professionale e scientifico sulla comunicazione.
Con Adriano ci fu subito intesa. Io apprezzavo di lui la cultura, la saggezza, la competenza sul mondo della comunicazione, una competenza raramente assortita in equilibrio così perfetto tra dato scientifico e lettura politica dei fenomeni. Lui vedeva in me una "giovane promessa" della comunicazione: non lesinò mai incoraggiamenti e consigli.
Fin da subito ci lasciammo "imbarcare" da don Roberto nell'avventura della Media Education. Questo ci portò a passare insieme diverse estati a Corvara, in Val Badia, dove si avviò una lunga tradizione di Summer School. Una bella opportunità non solo per riflettere insieme sui media, ma anche per solidarizzare, stare insieme, conoscerci. Adriano era cremonese, mia nonna della bassa cremasca: ci accomunavano i sapori dell'infanzia e un certo modo di guardare la vita. A Corvara Adriano non perdeva occasione per accompagnare la Messa all'organo.
Fu in quelle estati che nacque l'idea del Dizionario della Comunicazione, un'impresa che ben presto coinvolse insieme a me, ad Adriano e a don Roberto anche Franco Lever che poi del Dizionario divenne la vera e propria anima. Un'avventura quella del Dizionario. Anni di lavoro, di riunioni, di seminari, di scrittura. Una bella avventura. Umana oltre che professionale. Ogni incontro era occasione di riflettere sul mondo della comunicazione che stava cambiando. Adriano ne misurava l'imbarbarimento, le cadute di stile, rimpiangeva la "sua" RAI, con i suoi valori professionali ed etici. Non sopportava il sistema della TV commerciale. Avversava fieramente la curva popolare e antipedagogica che la televisione aveva intrapreso nel nostro Paese. Sempre bello sentirlo parlare, condurre le sue analisi, discutere.
Dopo il 1995 non tenni più corsi all'Università Salesiana, nei primi anni 2000 anche la mia strada e quella del MED (l'associazione di Media Education che proprio con Adriano e don Roberto avevamo fondato) si separarono. Con Adriano rimanemmo in contatto, ogni volta che passavo dall'Ateneo era un'occasione per vederci, per un abbraccio, per un pranzo insieme, per scambiarci una battuta. Anche negli ultimi anni, complice don Franco.
Proprio don Franco mi ha fatto sapere che Adriano era molto malato, che era stato ricoverato, che lo avevano dimesso per lasciare che si spegnesse a casa, tra i suoi cari. Mi chiedeva di sentirlo, don Franco. Io ho resistito per pudore, per quella cattiva idea del pudore che ci porta a pensare che le persone debbano essere lasciate morire da sole, nel riserbo della loro privacy. Don Franco mi ha fatto pressing. Io ho vinto la ritrosia e ho chiamato. Ho sentito Adriano. La sua voce squillante lasciava trasparire lucidità assoluta e una serenità che non è di questa terra. "Che piacere sentirti!". "Il cancro non perdona, sono pieno di metastasi. Ho chiesto al Signore la grazia di non farmi soffrire e di rimanere presente fino all'ultimo". Si preparava da tempo al momento supremo, don Franco me lo aveva detto. "I tre moschettieri sono stati qui ieri sera...". Alludeva proprio a don Franco, a don Fabio, a Tone Presern: lo avevano accompagnato, sempre presenti, sempre attenti. Abbiamo ricordato il tempo trascorso insieme, le cose belle condivise, lui ha trovato il tempo per un'analisi lucida del sistema dei media oggi. L'ho lasciato con una richiesta: "Caro Adriano, nel caso posso farti ancora un colpo di telefono nei prossimi giorni, ma solo se non ti disturbo...". Mi ha risposto: "Puoi, certo, mi farà piacere. Ma non dimenticarti di farmi anche un colpo di preghiera!".
Ciao Adriano! Non ho fatto in tempo a risentirti. Il colpo di preghiera te lo devo. Non lesinarne per noi, tu, da lassù, di colpi di preghiera. Arrivederci.