Saturday, November 26, 2011

Scuola e società tra crisi e prospettiva


L'AIDEP (Association des Inspecteurs et des Directeurs des Ecoles Primaires) è l'associazione che consorzia ispettori e direttori delle scuole primarie della Svizzera di lingua italiana e francese. Hanno celebrato il loro seminario annuale a Cadro, sopra Lugano. Ho avuto il piacere di esserne relatore, insieme a Mauro Magatti ed Elena Besozzi. Il tema del seminario - "Quale scuola per gli anni a venire?" - era quanto mai stimolante. Provo a restituire qui alcune delle suggestioni più interessanti.

Di chi è la colpa?
Il seminario è stato aperto da Manuele Bertoli, consigliere di stato per l'educazione in Ticino. Un politico sui generis, laureato in pedagogia e con una grande passione per la scuola. Il suo discorso, molto concreto, ha fornito un'indicazione di grande interesse che ha subito dato il la alla riflessione di tutti: "Se siamo qui a interrogarci sul disorientamento del sistema formativo, più che chiederci quale sarà la scuola di domani, ci dovremmo chiedere quale scuola abbiamo avuto finora". Spiazzante, scomodo, ma vero.

Volontà di potenza
Profonda e lucida, come sempre, l'analisi di Mauro Magatti. Nel suo disegno della situazione attuale Mauro ha indicato nella tecnicizzazione e nella mediatizzazione i due dispositivi principali. Nel primo caso si fa riferimento al "macrosistema tecnico planetario" che interpreta il senso profondo della tesi weberiana sulla razionalizzazione; nel secondo allo "spazio estetico mediatizzato" con la sua funzione di filtro rispetto alla percezione che l'individuo ha della realtà.
Su questo sfondo si sono fatte strada due istanze, negli ultimi trent'anni: un'istanza antiautoritaria, soggettivistica ("io sono il fondamento delle mie scelte") e un'istanza neoliberista ("io sono tanto più libero quanto più scelte ho"). In tutti e due i casi il dato con cui fare i conti è l'espansione del sé, ovvero quella che Nietzsche chiamava "volontà di potenza" intendendo con questo il desiderio di vita.
La scuola, in questo contesto, va in crisi e fare l'insegnante è difficile perché significa fare i conti con:
- una domanda forte di soggettività (spesso poi frustrata a livello sociale);
- la capacità di rispondere alla domanda di competenza tecnica da parte del mercato;
- la capacità di rispondere a una cultura plurale.
La conclusione di Magatti è duplice. Da una parte l'invito a recuperare la realtà a discapito dell'espansione del sé: dove l'elemento proiettivo è preponderante, diviene esclusivo, rischia il delirio. Dall'altra l'invito a rivalutare l'impotenza: è sana, reca in sé la cifra dell'essere umano.

Che fare?
La tavola rotonda che ha chiuso la prima giornata di lavori (poco prima avevo tenuto la mia relazione sui neoapprendimenti) ci ha visto proporre da Elena Besozzi questioni molto operative. Personalmente ho provato ad abbozzare una risposta a quella che chiedeva come colmare il gap che sembra oggi allontanare le generazioni, soprattutto in scuola, soprattutto in relazione ai media digitali e alla loro cultura. Ho fornito quattro indicazioni operative:
1) fare i conti con le rappresentazioni sociali dell'infanzia e dell'età adulta. Considerare che spesso sono stereotipate, inattuali, come quando pensiamo che i "nativi digitali" esistano e che siano veramente più esperti degli adulti in materia di tecnologie;
2) concettualizzare i media stessi come spazi di incontro intergenerazionale. Ho portato a questo riguardo l'esempio della comunicazione familiare e di come, in essa, proprio grazie al telefono cellulare, si aprano interessanti spazi di complicità e di opportunità per la presenza genitoriale;
3) predisporre passerelle conversazionali: parlare dei media, dei loro consumi, fare attività di glossa, aiutare i ragazzi a leggere i loro consumi e a orientarli per il meglio;
4) naturalizzare i media. Farli scomparire come macchine, riconcettualizzarli come strumenti di lavoro normali nella quotidianità della classe.

Educare la libertà e la responsabilità
Nel suo intervento Elena Besozzi ha lavorato attorno al concetto di cittadinanza. Lo ha fatto partendo dalla constatazione della crisi del mandato tradizionale che le società hanno sempre dato alla scuola, ovvero di educare il lavoratore r il cittadino. Ma la prospettiva è stata di cogliere più gli spazi di rilancio che quelli di crisi, più i punti forti della crisi che non quelli deboli. Su questi ha costruito la sua proposta, centrata sull'esperienza dell'altro in un percorso che deve mettere in conto 4 R: riconoscimento, rispetto, reciprocità e responsabilità. E ha chiuso citando Stefano Franscini: "Ove non v'è istruzione, non v'è libertà". Oggi, suggerisce Elena, dove non si educa la libertà, non c'è istruzione.