Wednesday, April 23, 2008

Technologias e saber


A Academia Militar das Agulhas Negras (AMAN) foi fundada no dia 23 de abril do 1811. A sede atual é em Resende, uma pequena cidade do Interior do Estado do Rio de Janeiro. Trata-se de uma grande comunidade de professores e cadetes: aquì eles teem um curso de graduação com o qual saem da Academia com o grau de tenente e podem começar a carreira militar.
A mia visita na Academia foi procurada para o atual Sub-Comandante da Academia mesma, o Coronel Fernando Veloso. Ele me convidou para visitar a Academia e darr uma palestra pelos professores sobre os conteudos da mia pesquisa no CREMIT, ou seja a relaç
ão entre as technologias educativas e a construção/gestão do conhecimento.
A visita foi muito interessante, sobre tudo a parte relativa à bibliotheca historica da Academia, onde tem 80.000 volumes antiguos, a partir do final do 1600. A Encyclopedia de Diderot e D'Alembert, os Principia Mathematica de Wolff, tratados ilustrados de arte militar, topografia, ingenharia. Tudo muito interessante.
A noite fiz a mia palestra. A idèia central dela era de propor uma reflex
ão sobre o uso da technologia na gestão do conhecimento. A partir da metafora do Pierre Levy que fala da sociedade da informação como do lugar do segundo diluvio universal (o diluvio da informação) apresentei a hypotese do Web Semantico e sobretudo do Social Network como possibilidade de responder aos pedidos dessa sociedade, na qual o verdadeiro problema não è mais a procura da informação, mas a sua percepção seletiva.
O debate destacou perguntas bem interessantes. O enfoque delas pertenceu em particular à relaç
ão entre um modele de construição do conhecimento top-down como aquele tradicional e o novo modele do Social Network, baseado numa logica bottom-up. Como balançar a maior democracia deste modele com a necesssidade de ter certezas cognitivas? Como balançar a necessaria verticalidade da formação (em particular no exercito) com a orizontalidade da interação das redes sociais que organizam-se nos espaços colaborativos da Rede?
Este è o verdadeiro desafìo que provoca n
ão sò o exercito, mas qualquer insituição educativa: pode-se balançar a asimetria tipica da educação com a paridade propia do Social Network?
A resposta passa para uma nova ideia do perfil do professor: colocado ao lado do processo de aprendizagem, atento em disponibilizar recursos de suporte pelos alunos (o que o constructivismo chama scaffolding), certamente enriquecido pelos contributos deles.
Espero na mia proxima visita poder discorrer das primeiras experimentaçoes nesta linha de trabalho.

Tuesday, April 8, 2008

Media e formazione

La medialità nei suoi nuovi formati interpella gli attori e i sistemi dell'educazione e della formazione. In particolare solleva dubbi sul rischio che magari, dietro o sotto le immagini, vadano rarefacendosi i racconti, le storie tendano ad emanciparsi dai linguaggi. O ancora, che alla costruzione dei rapporti subentri la semplice attivazione o disattivazione di una connessione. Dubbi che occupano la coscienza e la responsabilità dell'educatore. Dubbi che, però, non devono farci correre un altro rischio: quello di ritenere che non vi siano più storie da raccontare, o che "Noi sì che sapevamo raccontare!". Insomma: la riedizione del solito gioco del noi e loro (noi, gli adulti, i figli di un'altra generazione; loro, gli adolescenti, i figli della Rete e del telefonino), dove l'implicito è che "prima" era meglio e oggi è peggio.
Per evitare di cadere nella trappola credo occorra sforzarsi di interpretare le culture mediali attuali (intese come congiunto di complessi tecnologici e di pratiche che attorno ad essi si costruiscono) nella loro specifcità. Suggerisco in questa direzione quattro spunti che vogliono funzionare da altrettante piste di ricerca e di progettazione educativa.
La de-mediazione. Ciò cui oggi stiamo assistendo è la morte degli apparati, la fine dei sistemi di comunicazione come li conoscevamo. La comunicazione tende a essere im-mediata grazie alla marcata interattività dei servizi: è la differenza che passa tra la televisione al tempo delle Televisioni e la televisione al tempo di You-tube. Educativamente cambia molto. Eravamo abituati a preoccuparci del Grande Fratello (nel senso orwelliano, non del reality!), del rischio di un Pensiero Unico (per dirla con Freire e Martin Barbero); oggi dobbiamo preoccuparci piuttosto del pensiero nomade. Alla paura dell'omologazione subentra quella di perdersi nell'eccesso di possibilità.
La de-professionalizzazione. Non serve più essere giornalisti per fare i giornalisti, né essere operatori per fare video. La facilità d'uso delle tecnologie digitale e del Web 2.0 consente a ogni lettore di diventare autore. E' il senso di quel che si definisce lo user generated content: il contenuto prodotto dall'utente. Educativamente si tratta di un altro scatto in avanti, che esige un cambio di paradigma. Eravamo abituati a pensare di dover educare (solo) lettori critici. Oggi dobbiamo immaginare invece di educare la responsabilità di ciascuno di noi in quanto autore. All'etica delle emittenti subentra la responsabilità diffusa di qualsiasi comunic-attore quale ciascuno di noi è nella misura in cui può produrre messaggi e non solo consumarli.
La frantumazione. I linguaggi cambiano. Alle narrazioni distese, ai lunghi racconti del cinema e del romanzo, si sostituiscono le micronarrazioni dei nuovi formati: sms, blog, mail, sono supporti che non amano la prolissità. La comunicazione si contrae, il pensiero diventa breve; salgono alla ribalta la poetica del frammento, la scrittura minimalista. Non è peggio di prima: è diverso.
Infine l'estroflessione. I media digitali ridisegnano il concetto di spazio pubblico, cancellano i bordi di ciò che in relazione ad esso si definisce al contrario come spazio del privato. Ma è il concetto stesso di privato che entra in crisi. I nativi digitali non chiedono rispetto per la loro privacy; chiedono di poter aver diritto alla visibilità. Solo così si può capire il perché del volersi raccontare davanti al popolo della rete. Non è esibizionismo: è comunicazione che forse intende convocare proprio il mondo degli adulti.
Ecco, gli adulti. Cosa possono fare? Si sentono chiamati in causa ma senza sapere come intervenire. Credo che qui il gap sia culturale. Gli adulti, gli immigranti digitali, continuano a pensare ai media come a degli strumenti. Gli strumenti si possono usare oppure no. Sono sempre comunque sotto il nostro controllo. Ma i media non sono più strumenti. Sono migrati nelle nostre vite. Sono protesi quasi-organiche attraverso le quali gestiamo relazioni, conoscenza. Chiuderle fuori della porta della classe non serve.

Sunday, April 6, 2008

Media, storia, cittadinanza

L’idea di un seminario su “Media, storia e cittadinanza” nasce dalla consapevolezza della stretta relazione tra questi tre dispositivi concettuali all’interno della società dell’informazione (o della comunicazione dispiegata, per dirla con Breton, 1985).

I media “mediano” oggi in maniera significativa il rapporto con la storia di generazioni consegnate sempre più solo alla dimensione del presente. Il passato, per esse, rischia di assumere i contorni della rappresentazione, con un evidente slittamento dal piano dell’Erlebnis a quello del Vorstellen: quel che era ritorno, nella memoria, di quanto vissuto, oggi diviene sempre più scoperta, nel dispositivo spettacolare, di quel che per la prima volta si conosce.

La storia deve ai media questa possibilità di passare sotto i riflettori: in prima serata, in diretta, nelle comunità di discorso che popolano sempre più il Social Network. Si tratta di un’opportunità ambigua, perché se da una parte pare questa l’unica via di fuga dall’oblio e dalla tentazione di vivere solo il tempo presente, dall’altra essa è irta di rischi. Solo due tra i più rilevanti: il rischio della strumentalizzazione, dell’uso ideologico, della curvatura lobbistica; il rischio della deprofessionalizzazione, della riduzione a racconto in presa diretta fatto dall’uomo della strada, senza metodo, senza... memoria.

Infine, la cittadinanza. Essa risente oggi – almeno così pare di poter osservare – di una doppia malattia. Una malattia storica, di senso inverso rispetto a quella che Nietzsche rimproverava al proprio tempo nelle Inattuali: non più l’eccesso di storia, ma la mancanza di storia che emancipa dalla tradizione, consegna all’erranza, non consente più di imparare dal passato evitando di reiterane gli errori. Una malattia mediale, nel senso di una vera e propria damnatio ad medias: non più, i media, strumenti di cui poter disporre o non disporre, ma protesi innestate nella vita individuale e sociale delle persone, con il risultato che molto del nostro essere cittadini, nello spazio pubblico come in quello privato, è declinato medialmente.

Su questi tre fronti, sulle loro interferenze, la riflessione non si può più rimandare. Si sentano convocati gli storici, chi studia i media, gli educatori. Il seminario che si apre venerdì 11 aprile a Torino, alle 18.00, presso la sede dell’Istituto Storico della Resistenza, con la relazione di Fabio Fiore sul valore della memoria ha la pretesa di iniziare a porre a tema la questione innestandosi sul lavoro già fatto in questa direzione attraverso il Corso di Perfezionamento in Media Education attivato insieme all'Università Cattolica di Milano . Il libro che nascerà da questa e dalle altre puntate del seminario speriamo serva a lanciarlo in un’arena più vasta. La discussione è aperta già fin da questo momento.

Friday, April 4, 2008

Scuola e informazione

Il 31 marzo scorso si è tenuto a Milano, presso il Circolo della Stampa, un seminario di studio sul rapporto tra la scuola e l'informazione. Nel mio intervento ho provato a disegnare per tratti la situazione attuale e a indicare alcune prospettive per il futuro.
L'analisi dell'oggi chiede di prendere anzitutto in considerazione lo spazio della scuola nell’informazione. Lo si può descrivere notando come:
- la scuola sia presente nell'informazione solo se notiziabile. Non fanno notizia le buone pratiche, ma il disservizio, la trasgressione, la devianza: storie di bullismo, abuso, pedofilia; gli ultimi posti nelle indagini OCSE-Pisa; le defaillances della classe-docente. Non serve lamentarsene: è una legge del giornalismo;
- in virtù del proprio potere di agenda (cioè della sua capacità di influire sui temi che devono entrare sotto la lente della pubblica attenzione), la stampa tuttavia non “copre” informativamente solo il peggio della scuola, ma contribuisce a costruire una rappresentazione pubblica della scuola negativa e preoccupante;
- questa rappresentazione retroagisce sugli stessi operatori della scuola alimentando un diffuso senso di millenarismo educativo: la percezione cioè di trovarsi alla fine (dell’istituzione, della professione, dell’educabilità degli allievi) e in permanente stato di estrema emergenza.
L'altro versante del rapporto tra la scuola e l'informazione è quello che si può indicare parlando dello spazio dell’informazione nella scuola. Anche qui tre rapide annotazioni che restituiscono un quadro in chiaro-scuro:
- l'informazione spesso non ha goduto e non gode di credito ed è vista con sospetto. Pensiamo alla classica opposizione tra storia e cronaca, che finisce per non riconoscere diritto di cittadinanza in scuola all’attualità perché mancherebbe della sufficiente distanza per poter consentire un giudizio misurato e oggettivo. Ma pensiamo anche a come il giudizio negativo sullo stile di una composizione di italiano si compendi spesso nel definirlo “giornalistico”;
- essa è comunque spesso presente come oggetto culturale (il giornale in classe). Qui l’atteggiamento è ambivalente: da una parte si riconosce che la lettura del quotidiano dovrebbe far parte delle pratiche di cittadinanza normali dell'individuo maturo in una società democratica; dall’altra si presuppone comunque che la scuola possa svolgere un ruolo educativo nel senso della decostruzione, dell’accertamento della attendibilità della notizia, della comparazione tra diverse messe-in-forma dei fatti;
- infine, l'informazione è presente nella scuola anche come genere espressivo (il giornale di classe). Qui, da Freinet in avanti, il “fare informazione” in classe simulando il lavoro di redazione significa abilitare il lavoro di gruppo, valorizzare le diverse intelligenze, rilanciare la riflessione e i valori didattici della scrittura.
Partendo da questo quadro, cosa si può auspicare per il futuro al fine di massimizzare l'impatto positivo dell'informazione sulla scuola minimizzandone quello negativo?
In estrema sintesi si potrebbe dire: che la scuola “entri” materialmente nell’informazione, e l’informazione in scuola. Come? Attraverso due strategie già percorse soprattutto all’estero (ma anche nel nostro Paese, sebbene in pochi casi).
La scuola può entrare nell’informazione attraverso:
- iniziative di “accesso” delle classi alle pagine del quotidiano;
- iniziative di “apertura” delle redazioni alle classi (Periodista por un dia, Baires).
L’informazione può entrare a scuola attraverso:
- corsi e attività educative condotte dai giornalisti nelle scuole;
- iniziative istituzionali forti (come la Semaine de la Presse in Francia, organizzata dal CLEMI);
la curricolarizzazione di attività di Media Education che mettano al centro dell’attenzione l’informazione nelle sue forme.