Condivido di seguito il mio editoriale apparso sull'Adige domenica 9 aprile 2017 in occasione della mia presenza al festival dell'educazione di Rovereto...
La
virtù è un dispositivo personale che Foucault avrebbe inserito in quelle che
lui chiamava “tecnologie del sé”. Ma anche il concetto di “dispositivo” va
inteso nel significato che gli attribuiva il grande filosofo francese. Un
dispositivo non è un marchingegno, uno strumento, una macchina elettronica. Nel
senso in cui qui lo usiamo un dispositivo è un insieme di tecniche, una
strategia, un sistema di scelte. Nel caso della virtù, l’obiettivo della
mobilitazione di queste tecniche, di questa strategia, è la gestione di se
stessi. I primi a collocarsi in questa prospettiva sono stati i Greci. Il
saggio è virtuoso se si autocontrolla (enkràteia), se non ha bisogno di nulla
(autàrkeia), se non prova emozioni (atarassìa), se è in grado di astenersi da
situazioni che provochino dolore (aponìa). In questo modo ciò che nel
dispositivo virtuoso favorisce il raggiungimento di questi obiettivi –
l’autocontrollo, l’assenza di dolore, ecc. – si può a giusto titolo chiamare
una “tecnologia del sé”. Le tradizioni della saggezza orientale – penso al
buddhismo – e della spiritualità cristiana non si sottraggono a questa logica:
alludono all’esercizio di particolari teniche al fine di garantirsi una buona gestione
del proprio sé (della propria anima).
Perché
la virtù, in quanto tecnologia del sé, si può rivelare utile quando si ragiona
dei media digitali, della loro diffusione sociale, dei comportamenti che essi
richiedono? È la domanda che mi sono posto nel mio libro Le virtù del digitale. Per un’etica del media (Morcelliana, 2015).
La risposta è articolata.
In
primo luogo i media digitali richiedono l’esercizio della virtù, ovvero esigono
da noi uno sforzo di riflessione e un lavoro su noi stessi. Non si nasce capaci
di interagire con essi, il loro uso non è naturale. Straordinari per le
opportunità che ci garantiscono – le potremmo sintetizzare parlando della loro
capacità di aumentare la nostra esperienza del mondo e degli altri – i medi
digitali espongono anche a rischi. Ottimizzare le opportunità e limitare i
rischi è lo spazio in cui la virtù si esercita.
In
secondo luogo, quello di virtù è un dispositivo praticabile, umano, laico (nel
senso di condivisibile al di là del singolo credo o confessione). Certo, poi,
nella cultura cristiana vi sono virtù come la fede che si iscrivono in un altro
orizzonte, ma almeno le virtù cardinali – quelle eredi dell’etica aristotelica
– sono di certo molto trasversali: giustizia, temperanza, prudenza, fortezza
sono le stesse, possono essere le stesse, per chiunque. Cosa voglio dire?
Voglio dire che sul fatto di distinguere tra spazio pubblico e spazio privato e
di imparare a non condividere nello spazio pubblico quel che è meglio rimanga
in quello privato, un laico e un credente possono di sicuro concordare. Non
solo. La virtù non è un punto di arrivo, ma un percorso. Non si è mai del tutto
giusti, ma si impara attraverso ogni atto di giudizio a diventare giusti. La
virtù non è uno stato, è un movimento, è qualcosa da guadagnare sempre di
nuovo. Questo impegna ciascuno a un
lavoro costante su se stesso, che non si può mai dire esaurito, compiuto. Non è
da bambini che si impara a essere virtuosi, ma qualcosa che ci impegna sempre
di nuovo anche da adulti.
Un’ultima
considerazione meria di essere sviluppata. Diventare virtuosi, in tema di
digitale, significa lavorare su se stessi. Oggi si direbbe che è un problema di
autoefficacia. Questo vuol dire che il problema dei media digitali non si
risolve con la regolamentazione, o con i divieti, o con i dispositivi di filtro
o di protezione, ma con l’educazione. E l’educazione consiste nel creare le
condizioni perché il soggetto possa fare empowerment, ovvero sviluppi la
capacità di controllarsi da sé, di gestirsi da sé, di difendersi da sé. In
Grecia questa era stata la funzione del Maestro, nella cultura cristiana del
direttore spirituale, al tempo dei media digitali è questo lo spazio
dell’educatore, genitore o insegnante che sia. In una società pervasa di media
è difficile trovare comportamenti di cittadinanza che non abbiano a che fare
con essi. E quindi occorre creare le condizioni perché questi comportamenti
siano corretti. È questo lo spazio della Media Education intesa come intervento
di sviluppo della consapevolezza critica e della responsabilità delle persone.
Si tratta di un lavoro di stimolo e supporto al comportamento virtuoso. Con il
risultato che l’educazione incontra la cittadinanza e ritrova, al cuore di
essa, l’etica.
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