Napoli. Stazione Centrale. Un giovane ambulante sale sul treno fermo sul binario. Vende calzini. Poche battute. Sono determinato a non comprare. Mi convince: "Tengo figli, tu mi capisci!". Se ne va. "Sei una grande persona!". Milano. Stazione Centrale. Un giovane sordomuto. Lascia il solito oggetto, un piccolo portachiavi, con il solito foglietto di spiegazioni. Silenzioso depone i portachiavi davanti ai passeggeri, silenzioso li raccoglie senza che nessuno li abbia comprati: ritira anche il mio. Non dico niente. Poi torna indietro per scendere: qualcosa mi spinge a fermarlo. Gli porgo i due Euro che chiede. Mi guarda e fa un cenno di assenso. Lo guardo e ricambio.
Cosa è successo tra il prima ("Non compro!", "I soliti trucchi, le solite storie") e il dopo (mi decido a comprare, obbedisco a una voce dentro che mi dice: "Compra! Compra!")? Diciamo così: ho cambiato punto di vista! O, per usare altri termini, tratti dalla pragmatica della comunicazione umana: ho cambiato punteggiatura alla situazione. Vale a dire: quel che leggevo secondo una sceneggiatura a me nota come raggiro, finzione, abitudine, ad un certo punto ho iniziato a leggerlo secondo una sceneggiatura diversa, meno usuale, come bisogno, vita, disagio. Cosa è successo in mezzo? Cosa mi ha forzato a passare da un atteggiamento all'altro cambiando la punteggiatura alla situazione?
Ci ho pensato a lungo nei giorni seguenti e ho trovato due risposte possibili.
Prima risposta. Per dirla con Bateson e con l'antropologia situazionale (Hall) ho cambiato la cornice delle mia analisi comunicativa. Ho sostituito la cornice: "Sfaticato che vive di espedienti" con la cornice: "Uomo in crisi che si umilia per vivere". Il risultato è che tutta la situazione si rimodella, si carica di un nuovo significato. Non solo. Comparando nell'analisi le due letture e riportandole alle due cornici, apprendo molto sul peso del pregiudizio nella fenomenologia della nostra vita quotidiana, soprattutto apprendo molto su come cercare letture diverse aiuti a comprendere la diversità.
Seconda risposta. Per dirla con Ramsey, teorico della semantica del linguaggio religioso, quello che è intervenuto è un "discernimento strano", innescato da un'"illuminazione". All'improvviso quel che mi sembrava naturale - il solito vagabondo che cerca di riflarmi le sue cose - mi si presenta sotto una luce differente e inaspettata - un uomo che mi chiama in causa come uomo. Questa illuminazione innesca la mia comprensione differente (il discernimento strano) della situazione: guadagno un livello di lettura superiore, alternativo, sicuramente più profondo.
Da dove proviene questa illuminazione? Posso rispondere in due modi. Da me, dal mio essere capace di fare deuterapprendimento (come direbbe sempre Bateson). Oppure: da un altrove che non sono e che risiede nel mistero insondabile dell'attimo che in quel momento ho vissuto. Il miracolo della comunicazione è custodito qui.
[Nel riquadro: Decalogo 4, di K. Kieslowski]
3 comments:
Grande prof bellissimo post, perché anch’io mi sono trovata spesso nelle situazioni descritte, e con quell’oggetto e quel biglietto posato vicino a me pensavo : faccio finta di niente ,metto i due euro, gli altri cosa fanno, si è giusto ,no non è giusto e finchè la persona non si riprendeva tutto, quel foglietto mi pesava molto, ed ora ho capito il mio“discernimento strano” , la mia comprensione differente erano latenti.Ora quando ancora mi succederanno queste situazioni sul treno , sulla metropolitana sicuramente i miei comportamenti non potranno fare a meno di questa consapevolezza.
Prendo spunto da questo post per raccontare - con un pizzico di rossore in volto - un fatto che mi è capitato un paio di mesi fa, che in parte potrebbe ricollegarsi a quanto scritto. Un pomeriggio suona il citofono di casa. Mio padre sta riposando in camera, quindi mi alzo dalla scrivania e attraverso le tende vedo che si tratta di un ragazzo di colore. Sono intenzionata a non rispondere, di solito non lo faccio specie se sono sola in casa. Abitualmente da noi tutte le settimane passa un ragazzo di colore, è mio padre che risponde al citofono, esce e gli lascia qualche euro. Presumo sia lo stesso ragazzo. Il citofono suona insistentemente, molte volte. Un pò la cosa mi agita. Ad un certo punto sento un tonfo sulla parete vicino alla porta d'ingresso. Non vedo più il ragazzo al cancello, decido di uscire per vedere che è successo. Appena uscita vedo dietro alla siepe il furgone della DHL e in terra un pacco. Realizzo in un istante che si tratta del corriere, attendevo la spedizione di alcuni libri, ma la cosa mi era uscita dalla mente! Lui mi vede, scende dal furgone con carta e penna. Mi dice: "Sapevo che eri in casa... magari sono anche libri che ti servono per studiare! Avevi paura dell'uomo nero, eh?". Firmo, non riesco a dire una parola. Entro in casa, con un principio di lacrime agli occhi per la vergogna.
Episodio centrato perfettamente sul senso del post, Serena. Non sei riuscita cambiare cornice da sola: e così l'"uomo nero" ti ha dato una lezione di comunicazione. Lui avrebbe potuto complementarizzare il tuo atteggiamento rispondendo al tuo sospetto con sorrisi e inchini; oppure avrebbe potuto simmetrizzare, offendendosi o portandosi via il pacco (che così ti saresti dovuta ritirare dal corriere). Invece ha scelto la strada più corretta: ha verbalizzato la sua comprensione della situazione ("Ho capito che hai usato la cornice dell'uomo nero...") dandoti la possibilità di capire perché ti eri comportata così come ti sei comportata. Molto interessante.
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