Sabato scorso sono stato invitato da carissimi amici a partecipare alla cerimonia di inaugurazione della loro fattoria didattica, la fattoria Cascina Pezzoli di Treviglio, in provincia di Bergamo. Come l’agronomo e gli altri convenuti hanno ben spiegato, oggi una fattoria didattica (come un agriturismo) rappresenta una forma di mantenimento (o di ampliamento) del reddito agricolo. Sono tempi difficili per chi vive del lavoro della terra: le quote-latte comunitarie hanno imposto una brusca riduzione degli allevamenti, l’urbanizzazione selvaggia ruba sempre nuovi spazi alla campagna, la tropicalizzazione del clima rende ancora più aleatoria la possibilità di giungere al raccolto senza danni. Ma certo una fattoria didattica non è solo questo. È anche (soprattutto) un’opportunità educativa e didattica per bambini e ragazzi che hanno spesso perso il contatto con la natura, non ne conoscono più i ritmi e i frutti. Non si tratta solo di educazione ambientale o storica (che si attinge nella ri-scoperta degli attrezzi di un tempo, del dialetto, dei racconti), si tratta di educare il bambino all'importanza dell'esperienza. Proprio all’insegna dell’esperienza, della sua centralità educativa, ho condotto la mia breve prolusione, partendo da due passi di Freinet, il “maestro” Freinet, che nel 1960 (La formation de l’Enfance et de la Jeunesse) scrive: «Oggi la nostra scuola entra nella vita circostante e ne diventa una componente. Per questo fatto, il fanciullo è automaticamente portato a ricondurre la propria attività nell’ambito di questa vita, il che costituisce sicuramente un fattore di equilibrio e di armonia. Se un cacciatore abbatte un uccello rapace, se un compagno trova un insetto, se un contadino dissotterra un fossile, la scuola riuscirà sempre a trarne un vantaggio. Al rientro, i ragazzi rivolgeranno ai genitori un’infinità di domande su cui dovranno riflettere. La scuola diventa un elemento attivo del villaggio e del quartiere». E nel 1964 (L’organisation de la classe): «Io ritengo (e l’esperienza me lo ha sempre dimostrato) che il fanciullo si educhi non già con le lezioni dall’esterno bensì con il tatonnement sperimentale, nel pieno della vita. Egli assomiglia al corso d’acqua che, all’origine, già possiede una sua forza e una sua portata la quale via via si arricchisce e si rafforza grazie agli apporti generosi dislocati lungo il percorso. Noi vogliamo partire proprio da questa vita. La nutriamo, la sviluppiamo, la arricchiamo».
In questi due brani si possono isolare tre parole-chiave: vita, attivo, tatonemment.
1. Vita. Mettere la vita al centro, nell’agire didattico, vuol dire:
- apprendimento spontaneo, non solo insegnato; cioè riconoscere che qualsiasi situazione quotidiana costituisce uno spazio importante per imparare (e questo vale ancora di più oggi, con lo sviluppo dei media digitali);
- necessità di uscire dall’ambiente scolastico, che è artificiale, per immergersi nei contesti reali;
- bisogno di ritornare all’esperienza senza mediazioni (quanto, invece, nel nostro tempo c’è di mediato nelle nostre conoscenze, nella nostra rappresentazione della storia, ecc-).
Il riferimento teorico obbligato, qui, è Vygotsky, la sua idea che l’apprendimento può avvenire solo in contesto.
2. Attivo. Il valore dell’attività in didattica implica:
- la capacità di andare oltre il libro e la forma-lezione. È ancora una volta Freinet a indicarlo con efficacia rintracciando proprio nel libro di testo e nella lezione i due elementi che più facilmente possono indurre passività negli alunni;
- la capacità di mettere il bambino al centro, nel segno di quella rivoluzione copernicana dell’educazione che proprio l’attivismo pedagogico ha preparato e voluto.
Anche qui un riferimento teorico è d’obbligo: Dewey, nello specifico la sua idea del learning by doing, dell’apprendere facendo come forma più efficace di problem solving.
3. Tatonemment. Anche qui due sottolineature:
- toccare, tastare, rappresenta il modo più naturale che il bambino ha di apprendere. La centralità dell’esperienza significa quindi collocare l’azione di insegnare in continuità con quella dell’apprendere e fare tutto questo secondo i modi e le forme che al bambino sono più familiari;
- oltre a ciò, fare centro sull’esperienza significa andare al cuore del metodo sperimentale (ipotesi, esperimento, verifica), farne lo strumento attraverso il quale il bambino costruisce conoscenza. Piaget e l’idea che l’apprendimento per scoperta è quello più efficace si impongono a questo livello come riferimento teorico.
Sintonizzarsi su questa lunghezza d’onda non significa “tornare a Freinet”, ovvero fare un’operazione un po’ vintage di recupero del passato, quanto piuttosto creare le condizioni perché il nostro fare scuola provi a formare quella che si può ritenere la competenza-chiave, ovvero la capacità di gestire il proprio sapere come un processo. Questo vuol dire essere creativi, sapersi confrontare con la complessità, apprendere nella relazione con l’altro, coltivare l’attitudine all’indagine. La didattica laboratoriale che nella fattoria didattica si può fare risponde a queste esigenze: sviluppa la creatività permettendo ai bambini di esprimere le loro emozioni e di riappropriarsi del piacere del fare; li pone di fronte alla complessità di un mondo, quello rurale, che è fatto di saperi, culture, tecnologie; sviluppa la dimensione relazionale nella collaborazione e nel lavoro per gruppi; infine, avvia all’indagine proprio grazie al principio dell’esperienza.
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