L'edizione di quest'anno di Teniamoci per mouse si intitola: "La classe è mobile". Nel mio intervento, in apertura, cerco di definire il Mobile Learning (rilanciato con forza dalla diffusione dell'I-pad e della nuova generazione di dispositivi touch suoi stretti parenti). Lo faccio rispondendo a tre domande:
1) cosa è? (asse concettuale)
2) a cosa serve? (asse socio-culturale)
3) come si fa? (asse didattico-tecnologico)
1. Una definizione
In senso proprio si può parlare di "apprendimento mobile", con due significati storicizzabili in precisi momenti dell'evoluzione della tecnologia e delle didattiche dell'e-learning.
Nel primo di questi momenti il ML è pensato come la possibilità di emancipare l'apprendimento dalla postazione fissa, sganciando spazio-temporalmente il soggetto. Siamo negli anni '90 (Keagan, Peters), in concomitanza con la diffusione del palmare. In questo contesto il ML si lega sostanzialmente all'accessibilità real time ed everywhere di contenuti e servizi di piattaforma (accedere alla bacheca del LMS, vedere il proprio grade-book), soprattutto nell'istruzione superiore.
Oggi il ML cambia decisamente di significato e viene concepito come una possibilità per mettere in continuità pratiche di apprendimento e pratiche ordinarie, individuali e sociali. Come da alcune esperienze europee (London Mobile Learning Group) viene indicato, il ML diviene quindi un modo per usufruire dello stesso strumento (I-pod, cellulare, I-pad) per comunicare nelle proprie reti sociali e per svolgere compiti e funzioni nel contesto della classe.
Volendo sintetizzare: dalla tecnologia come opportunità per esportare la scuola nel sociale, alla tecnologia come opportunità per importare il sociale nella scuola.
2. Lo scenario
Così inteso, il ML consente di dare risposta, grazie alla portabilità e alla connettività della tecnologia (ubiquitous computing), ad alcune nuove esigenze dello scenario socio-culturale attuale.
Anzitutto consente di registrare e valorizzare il nuovo ruolo dell'informale, e cioè:
- workflow learning (Cross), che vuol dire che si apprende sempre, a prescindere da quel che si fa;
- friends storing (Siemens), ovvero molto della nostra conoscenza è archiviato nei nostri amici;
- user generated contexts (Haque), che vuol dire la tendenza dei soggetti ad appropriarsi del mondo costruendo mappe delle loro esperienze e sintesi delle loro conoscenze.
In seconda battuta, il ML interpreta il nuovo ruolo della tecnologia, e cioè:
- quello di esternalizzare una parte delle funzioni che le teorie classiche dell'apprendimento collocavano nella mente (come l'archiviazione delle informazioni, appunto);
- quello di consentire la costruzione e il mantenimento di reti sociali.
Il ML fa questo in due modi.
1) Supporta gli studenti nel collegare scuola e mondo della vita (Jenkins, 2010):
- costruendo passerelle conversazionali tra dentro e fuori, casa e scuola;
- usando il cellulare (il dispositivo mobile) come strumento di continuità tra i due mondi.
2) Crea contesti mediali di apprendimento:
- favorendo la ricezione del dispositivo mobile come risorsa culturale degna di stare in classe;
- progettando situazioni di apprendimento di cui il mobile device sia protagonista.
3. Tecnologia, didattica
Il versante applicativo si può leggere a tre livelli:
a) gli usi. Sono quelli censiti dal rapporto BECTA 2008 realizzato dall'Università di Nottingham e su cui torno in A scuola con i media digitali. Sostanzialmente il dispositivo mobile come: memoria elettronica, agenda elettronica, centrale di comunicazione, macchina creativa;
b) i modi. Qui è centrale il concetto di EAS (Episodio di Apprendimento Situato), ovvero un'attività al centro della quale vi sia l'uso motivato della tecnologia. Esempi di EAS sono: scattare fotografie di angoli come compito a casa; girare un video di 30 secondi per presentare un personaggio storico; usare il voice recorder per salvare la discussione all'interno del proprio gruppo e poi farne una sitesi, ecc.
c) il ruolo dell'insegnante, in tutto questo, come la vignetta di Glasbergen in apertura suggerisce, è di regista della situazione, con l'attenzione però a non versare vino vecchio nelle nuove botti.
Riferimenti bibliografici:
H. Jenkins (2010). Culture partecipative e competenze digitali. Milano: Guerini.
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